Troppi beni confiscati, pochi periti e scarso personale: la sfida in salita per una gestione efficace

Troppi beni confiscati, pochi periti e scarso personale: la sfida in salita per una gestione efficace

Pio La Torre, tra i firmatari del 416bis, sosteneva che «tutto quanto rappresenta per la mafia il possesso di un bene, denaro, ricchezza e capitale, diventa potere e prestigio. Il bene diviene simbolo del controllo del territorio perché serve a ricordare continuamente alla comunità locale la presenza dei proprietari ed il potere che sanno esercitare. Occorre spezzare il legame esistente tra il bene posseduto ed i gruppi mafiosi, intaccandone il potere economico e marcando il confine tra l’economia legale e quella illegale».  Fu lui a capire l’importanza di togliere ai mafiosi il loro impero economico. Oggi però il sistema confische presenta molte difficoltà. A cominciare dalle limitate disponibilità economiche dei comuni, specialmente quelli piccoli, che dovrebbero occuparsi di questi beni. Un problema che conosce bene la prefetta Maria Rosaria Laganà, direttrice dell’Anbsc, che al nostro mensile ha spiegato di voler «coinvolgere più comuni in un solo progetto» per sopperire alla criticità e quindi «creare una vera e propria rete che si occupi della gestione e di eventuali migliorie e adattamenti necessari a quel bene, per supportare i singoli comuni che altrimenti avrebbero un peso non indifferente». Non è ancora una soluzione strutturata ma, secondo quanto riferito dalla prefetta, «ci sono già alcune forme di consorzio tra i comuni per la gestione dei beni confiscati».  

I terreni  

I limiti dei singoli comuni non sono solo economici, anzi il prefetto Laganà ricorda che «purtroppo, specialmente in alcune realtà, il numero dei beni disponibili è proporzionale alla grandezza dei comuni e quindi insistono anche su zone scarsamente abitate», tanto che alcuni sono saturi ed è difficile trovare nuovi utilizzi. «Molti beni confiscati sono terreni – continua Laganà – sui quali è necessario investire per poterli utilizzare. Ecco perché abbiamo pensato di attuare delle collaborazioni con il ministero dell’Agricoltura per creare un bando per giovani imprenditori e dar loro i terreni che nessuno ha voluto. Naturalmente questi imprenditori dovranno però dare vita ad attività con carattere sociale».   Ma il problema non è solo economico, secondo Laganà: «I comuni hanno ormai spesso una cronica deficienza di personale, di competenze e anche di risorse. Questo può portare a una disattenzione pura e semplice del comune riguardo questa materia o a non occuparsene per via di queste manifeste criticità. Cosa che accade specialmente in quelli di piccole dimensioni».  

Troppi beni confiscati 

Persino nei comuni più virtuosi come Buccinasco dove «c’è più di un bene confiscato ogni mille abitanti e tutti e trenta sono stati utilizzati» ci ricorda il sindaco Pruiti, si presentano comunque dei problemi. È lo stesso sindaco a raccontare a #Noi Antimafia che una villetta a due piani, appartenente al boss di cosa nostra Vincenzo Ippolito, era sfuggita alla confisca nel 2013. «Per quindici anni Ippolito ha continuato ad affittare metà della sua villa e destinare l’altra metà ad ospitare una sua parente. Non me ne sarei accorto se non si fosse rivolto a me un giorno l’amministratore di condominio chiedendomi aiuto, perché lo Stato non gli pagava le spese condominiali di quella villetta. Controllando al catasto ho visto che in effetti l’immobile era confiscato e intestato al demanio, ma nessuno mi aveva mai avvertito. Il problema è che i beni sono troppi e l’Agenzia non riesce a gestirli tutti». 

La carenza di organico 

In effetti, anche la stessa direttrice Laganà ammette che c’è una carenza di organico: «Siamo la metà di quanti potremmo essere, duecento invece di quattrocento. Il problema è che il reclutamento nell’Agenzia non avviene tramite concorsi, ma tramite comando e mobilità, e solo dopo ci sono delle forme di stabilizzazione. Questa è una delle più grandi lacune dell’Agenzia. Dobbiamo fare dei bandi di mobilità e ne stiamo per aprire uno per cento persone, ma questo è un momento topico e molte amministrazioni già lamentano carenze». Non solo mancanza di personale, ma anche «un forte turn over – continua Laganà – perché alcuni comandi poi non sono stati rinnovati, o alcuni ruoli in mobilità non sono stati confermati. Quindi noi siamo caratterizzati non soltanto da un numero ridotto di persone, ma anche da persone che acquisiscono delle competenze, ma poi vanno via». La carenza è strutturale ormai anzi, aggiunge Laganà «il grande peccato originale di questa Agenzia è che è nata con trenta persone, questo prevedeva la norma iniziale e quindi con una “sottovalutazione” rispetto al carico di lavoro richiesto e alle competenze necessarie».  

Mancano i periti 

Il profilo delle competenze è particolarmente importante per l’Agenzia, perché per sua natura deve occuparsi di tematiche anche molto diverse tra loro. Ad esempio, non è previsto esplicitamente un profilo di periti, così «quando c’è da fare una perizia – dice Laganà – l’Anbsc si deve rivolgere all’Agenzia delle entrate, perché non ci sono periti, se non casualmente», dipende se tra comandi e mobilità si ha la «fortuna di incontrare qualcuno laureato in architettura, ragioneria o economia e commercio».   

Tempi di reazione lunghi 

A raccontarci le criticità legate al cambio di personale all’interno dell’Agenzia è anche l’amministratore giudiziario, Angelo Oliva, che collabora col tribunale di Roma. «Le persone sono valide – dice a #Noi Antimafia – ma cambiano continuamente e con le emergenze che abbiamo noi molto spesso i tempi si allungano». Secondo Oliva «andrebbero velocizzate tutte le procedure», sia perché le aziende sequestrate, come tutte le imprese economiche «hanno bisogno che vengano prese decisioni rapidamente, anche perché molto spesso queste subiscono delle perdite, sia per via dei costi da affrontare per regolarizzarle, sia come ritorsione nei confronti della magistratura o ancora per paura da parte degli altri cittadini, pensiamo ad esempio ad un bar». Per Oliva la rapidità è necessaria anche nella gestione dei beni immobili come le case: «Sugli sgomberi l’Agenzia dovrebbe mostrare più forza, ha tutti gli strumenti per chiedere di attuarli e invece accade che spesso le famiglie dei mafiosi rimangono nelle loro abitazioni, e anche quando vengono sgomberate poi gli immobili rimangono vuoti per settimane e vengono vandalizzati dai vecchi proprietari».  

Le aziende fittizie 

Per via di queste criticità dell’Agenzia, Oliva preferisce portare i procedimenti fino al momento della confisca definitiva di secondo grado compiendo a pieno il suo lavoro e «dimettersi una volta arrivato il momento della confisca definitiva per far nominare dall’Agenzia un diverso coadiutore».  Secondo la prefetta Laganà però spesso non si tratta di lentezze o di ritardi. Per quanto riguarda le aziende «si parla di beni confiscati particolari, innanzitutto perché bisogna verificare se non si tratti invece di “scatole vuote”, ossia imprese fittizie con il solo scopo di riciclaggio. Questa verifica può essere fatta già in fase di giudizio dall’amministratore giudiziario e c’è sempre una maggiore sensibilità su questo tema, anziché portarle tutte a confisca definitiva come avveniva in precedenza. Molte sono così, motivo per cui ii tante aziende vengono chiuse: non si tratta di una colpa dell’Agenzia, ma del fatto che una volta messe in regola queste aziende fittizie non sono più sostenibili economicamente sul mercato». 

Gli sgomberi 

Non solo. Secondo la prefetta accade anche che «le aziende arrivano a confisca definitiva con grossi debiti contratti nella fase giudiziaria. Contrarne è importante per far superare i momenti di crisi all’azienda, ma senza sovraccaricare quell’azienda che, se dovesse risultare operativa, poi avrebbe anche difficoltà maggiori a trovare qualcuno pronto a prendersela con un conto in rosso».  Per quanto riguarda invece le abitazioni confiscate, Laganà precisa che «secondo la norma, l’Agenzia può disporre lo sgombero quando ritiene più opportuno, anzi sgomberarlo prima che sia individuato un destinatario lascia solo spazio alle vandalizzazioni o anche alle rioccupazioni vanificando l’iter effettuato». Aggiunge Laganà: «Spesso poi nelle abitazioni risiedono persone a titolo illegittimo, in un mondo ideale questi edifici dovrebbero arrivare già vuoti al momento della confisca definitiva, ma non è sempre così. In più, l’Agenzia intima la liberazione dello stabile, ma lo sgombero è in carico alle forze di polizia, ma non è così semplice: se ci sono minori o invalidi o anziani occorre trovare subito un alloggio alternativo. E spesso, pur di non essere sgomberati, gli occupanti inventano ogni tipo di strategie».