The Bad Guy, la mafia raccontata come una pulp comedy
Giuseppe G. Stasi

The Bad Guy, la mafia raccontata come una pulp comedy

«Il problema è che questo è un Paese schiavo della semplicità», anche quando si parla di narrazioni, intorno a mafia e antimafia. Ne è convinto Giuseppe G. Stasi, che ha scritto – con Ludovica Rampoldi e Davide Serino – la serie “The Bad Guy” (prodotta da Indigo Film) di cui è su Prime Video la seconda stagione. Diretta da Stasi e Giancarlo Fontana. Una serie originale e capace di rompere gli schemi e di dimostrare che si può raccontare la mafia come una dark comedy, mettendo a nudo il grottesco e le contraddizioni della mafia e di chi la combatte. 

Il protagonista Nino Scotellaro, uno straordinario Luigi Lo Cascio è un poliziotto disposto a tutto per arrestare Mariano Suro, capo di cosa nostra, dietro cui si intravede Matteo Messina Denaro, il boss più ricercato degli ultimi trent’anni. Scotellaro è sposato con Luvi Bray (Claudia Pandolfi, intensa e umanissima) figlia di Paolo Bray, magistrato eroe ucciso da Suro. La moglie non riuscirà a evitargli il carcere, dopo il quale, però, deciderà che l’unico modo per ottenere il suo obiettivo sia scegliere la via del crimine, trasformandosi nel mafioso Balduccio Remora. Sulle sue tracce si metterà la sorella Leonarda (una rigorosa Serene Caramazza) carabiniere del ros, e rappresentanti dello Stato che rendono chiaro quanto sia sottile il confine tra bene e male. Ne abbiamo parlato con Giuseppe G. Stasi.

The Bad Guy è una serie dal ritmo serrato, piena di colpi di scena: richiede un grado di
attenzione non comune. 

Oggi viene richiesta molto semplicità, noi invece rispondiamo con la complessità a costo di non essere popolari.  

C’è una serie nella serie: “il magistrato buono” su Paolo Bray. Volevate prendere una
posizione su come si raccontano gli “eroi”?

I tempi bui dell’umanità sono quelli in cui ci si rivolge all’insoddisfazione della massa in maniera manichea. La semplificazione appiattisce la riflessione, lo sguardo sulla vita, il ragionamento e rende tutti più facilmente manipolabili, mansueti. Questa è la morte dell’intelletto, del pensiero, della sfumatura. E la morte della sfumatura è la morte della civiltà, su cui sorgono i regimi totalitari. Il fascismo non è un movimento politico, è culturale. E i film troppo semplici nei temi trattati o nella fattura sono film fascisti. Il magistrato buono gioca su questa semplicità aberrante.

Mi sembra che la sintesi perfetta sia il personaggio di Luvi Bray.

Luisa Vittoria Bray, che si chiama così in omaggio alla figlia di De Andrè e a un amico magistrato, è l’emblema di cosa significa portarsi addosso una narrazione irrealistica e poi scontrarsi con la propria misura delle priorità. 

Come si scrivono serie di questo tipo?

Gli autori devono essere lucidi, non ideologici. Riconoscere che il bene si maschera da male, ogni tanto, per un principio etico. Il 41 bis, che divide il Paese in modo molto netto. Lo descriviamo inumano, eppure è stato inventato dal giudice Falcone per far crollare i mafiosi. Raccontare le sfumature è l’unico modo per fare il nostro lavoro.

The Bad Guy dimostra che si può raccontare la mafia come una pulp comedy: un esercizio più sottile della volontà di dissacrare o di ironizzare su un fenomeno.

Si. Il periodo che inizia con la bomba fascista di piazza Fontana a Milano e la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, accusato ingiustamente, e finisce con l’attentato di mafia che uccide il giudice Paolo Borsellino, i millennials lo guardano con maggior distacco. Per chi li ha vissuti è ancora impensabile ironizzarci su. Ma noi siamo cresciuti coi cartoni animati e le sitcom, siamo arrivati al disincanto, al disprezzo totale per qualsiasi istituzione. Questa rabbia, questo spirito critico, ci ha portato dissacrare proprio tutto. 

Come si cambiano le narrazioni?

Non spetta al cinema fare la rivoluzione, deve fotografare la realtà. Per me è deprecabile dare all’opera d’arte la responsabilità di essere didattica. Una serie non può sostituirsi ai libri di storia. Deve scuotere e spingere a informarti. Quando vedo qualcosa che mi colpisce, io poi voglio conoscere la storia vera. 

Nella serie esiste il ponte sullo Stretto. Avete voluto calarvi nel presente, e quindi raccontare la mafia che sarà e che è già, la mafia degli appalti e degli affari?

La mafia non è coppola e lupara, o solo estorsioni. Mafia è la via della scorciatoia irresistibile.

Fare una serie di questo tipo è un gesto politico. Mafia e antimafia hanno lo spirito del Paese?

Sì. Siamo un paese di persone abituate a cambiare bandiera, ad adattarsi. Una persona con degli ideali non si adatta, lotta per migliorarli. Ce ne sono, ma sono pochi. Scotellaro diventato Balduccio Remora dice degli ex superiori: “I veri mafiosi sono loro”: una sintesi forte ma che ci sembrava necessaria. 

Si parla in effetti di una serie internazionale, densa di rimandi a un linguaggio che avete rimaneggiato. Come?

Abbiamo riletto Leonardo Sciascia e poi la cronaca e i giornalisti di inchiesta. Alcuni ambienti e le intercettazioni che si sentono nella serie vengono da lì. Per questo appaiono giornalisti come Andrea Purgatori, Enrico Mentana e Alberto Matano: raccontiamo un mondo distopico e “grottesco”, ma è la nostra realtà.

Le vicende sono finte però adombrano con chiarezza personaggi e vicende reali. La serie non racconta solo la corruzione delle istituzioni, mette in scena la trattativa tra lo Stato e la mafia: una verità accertata, ma di cui ancora sembra non potersi parlare.

Noi mettiamo in scena la trattativa con tutta la complessità della narrazione della tutela, la ragione di Stato, il bene supremo, il fine ultimo di un amministratore dello Stato. Ma qualcuno direbbe che la cosa pubblica viene tenuta in piedi da queste “leggerezze”. Nella serie, ad esempio, riportiamo il “papello” con le richieste di Riina allo Stato: sembra soltanto quello autentico. L’ufficio legale ci ha avvisato che avemmo avuto problemi. Fa ridere ma è eloquente: avremmo dovuto pagare i diritti d’autore a Provenzano? 

La messa in ridicolo è la via migliore per dire per dire la verità?

Da Dante a Manzoni, i caratteri più negativi sono nei personaggi comici. Perché rappresentano noi.  In “The Bad Guy” ridi quando vorrebbe essere un racconto serio. Ci sono, nella realtà, personaggi come i nostri: un avvocato che alla prima occasione di acquistare fama celebrità difende i mafiosi perché «i buoni mi hanno sempre trattato da coglione» o il carabiniere che si lamenta: «Io c’ho moglie e figlio, non voglio andare sotto processo». Gli eroi di questo Paese non farebbero mai gli eroi. 

Parliamo del protagonista. Luigi Lo Cascio lo abbiamo tutti in mente come Peppino Impastato, qui diventa il mafioso Balduccio Remora.

Volutamente. Lo fece Sergio Leone con Henry Fonda: era noto come il buono per eccellenza del cinema, Leone ne fa forse il villain più spietato della carriera. Luigi incarna il cinema civile, un personaggio così avverso a cosa nostra, un martire morto per le sue idee qui lo mettiamo a fare uno che finisce dall’altra parte. Togliere un attore dalla sua comfort zone fa capire quando è un grande attore. 

Le svolte drammaturgiche, nel bene e nel male, le portano sempre le donne, che sono donne di potere o che il potere se lo prendono.

Il cinema è pieno di personaggi femminili forti ma bisogna saperli usare, per non renderli forzati, goffi, fasulli. Noi ci siamo affidati a personaggi con una forte personalità indipendentemente dal genere. I greci hanno creato personaggi come Medea e Antigone, e noi abbiamo preso da lì: Leonarda è una Antigone, una donna sola contro il sistema e si trova sola. Luvi è una Penelope più corrotta, ma ha fatto ogni suo passo per amore.

Non c’è niente di semplificatorio, nella serie, ma nemmeno ambiguità. Cosa ne pensi?

Calchiamo sempre la mano in maniera o violenta o cinica o cattiva o perfida, ma siamo contenti che “The Bad Guy” stimoli il dibattito. Non riusciamo a essere sciatti, semplicistici. Ma bisogna essere chiari, ed è la cosa più difficile. Abbiamo creato, spero, una curiosità relativa a personaggi ed eventi a cui abbiamo attinto. Se questa serie stimola qualcuno a informarsi abbiamo fatto il nostro lavoro. Per fortuna questo è un paese antimafioso. Io ambisco che diventi antifascista. È agghiacciante doverlo ancora dire, ma serve. Invece, per fortuna, per la strada tutti ti dicono “io sono contro la mafia”.