Rai, la lunga storia di una tv di Stato usata dal potere

Rai, la lunga storia di una tv di Stato usata dal potere

Si sente spesso parlare di “TeleMeloni”, un termine nato per indicare il controllo dell’attuale governo sulla Rai. Ma ha davvero senso usarlo per indicare una realtà totalmente nuova che non si era mai vista prima nella tv pubblica? La risposta è nei fatti. Nella lunga storia della Radiovisione italiana, gli intrecci tra politica e informazione sono sempre stati molto forti. I legami giornalismo-potere nella tv di Stato si sono evoluti nel tempo e hanno assunto forme nuove, ma la sostanza è che, nonostante le tante promesse di riforma, ogni intento è naufragato. Vale quindi la pena cominciare dal principio.

1954-1975: i gloriosi anni del servizio pubblico

“Quella di questi anni (1954-1975), dal punto di vista culturale, era una buona Rai – ha spiegato Giulia Guazzaloca, docente di storia contemporanea dell’Università di Bologna – comunque era controllata dal governo, che nominava il consiglio d’amministrazione e che (direttamente o indirettamente) controllava le figure di vertice dell’azienda”. “Fino alla fine degli anni Sessanta le posizioni apicali all’interno dell’azienda vennero ricoperte solamente da personalità della Democrazia Cristiana – ha continuato la professoressa Guazzaloca – anche se verso gli inizi degli anni 60 iniziò il periodo di apertura verso i governi socialisti di Fanfani e Moro, e molte posizioni di vertice vennero ricoperte anche da uomini del Partito socialista”. Dc e Psi diedero così vita alla prassi della “lottizzazione”, ovvero la spartizione del controllo delle principali reti del servizio pubblico da parte dei partiti.

1975: quando la lottizzazione fu istituzionalizzata

La lottizzazione in Rai si istituzionalizzò nel 1975, quando la legge numero 103 spostò dal governo ad una commissione parlamentare il ruolo di nominarne la dirigenza. Da quel momento tutte le nomine iniziarono a rispecchiare la composizione del parlamento e anche il partito Comunista poté accedere alla spartizione del potere mediatico: a lui fu riservata la terza rete. “La riforma del 1975 ottenne però un risultato parziale – ha sottolineato ancora la professoressa Guazzaloca – è vero che le nomine passavano dal governo al parlamento, ma la ratio che avrebbe presieduto la gestione della Rai era comunque la spartizione degli spazi radio e televisivi da parte dei principali partiti di governo”.

La Seconda Repubblica: la debolezza dei partiti

Tra il 1992 e il 1994 i partiti del Centro, ma anche il Pci e il Psi, complice Tangentopoli, iniziarono a indebolirsi e via via a morire. Insieme a loro sparì anche la classe dirigente che in Rai aveva instaurato un potere ben strutturato e organizzato. “Con la morte dei partiti le principali dirigenze continuano ad essere uomini legati alle maggioranze di governo e con queste stringono rapporti personali o comunque nati all’ultimo momento – ha detto Paolo Mancini, già docente di Sociologia della comunicazione dell’Università di Perugia  – Questa situazione continua ancora oggi, ed è frutto del fatto che i partiti come il M5S nel giro di cinque anni sono cresciuti talmente tanto da non aver avuto il tempo di formare una classe dirigente strutturata. Questo li ha portati ad appoggiarsi a persone esterne al partito, diversamente da quanto accadeva prima”. I nuovi partiti, carenti di una classe dirigente stabile hanno continuato la prassi della lottizzazione, servendosi però non di sue dirette espressioni ma di uomini cresciuti in altro gruppi politici che si sono “prestati” alle nuove forze politiche.

Telemeloni: censura sì, censura no

L’ormai noto “caso Scurati” ha riportato alla luce il tema della censura e del controllo del governo sulla Rai, tanto che si è parlato spesso negli ultimi tempi di una deriva autoritaria dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. È come se ci si fosse dimenticati dei veri e propri casi di censura che hanno fatto la storia della televisione italiana. Non si ricorda più il caso di Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, (cacciati dalla Rai nel 1959 dopo una battuta sul Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, caduto durante un incontro con il presidente francese De Gaulle), quello di Dario Fò e Franca Rame (colpevoli di aver parlato, nel 1962, della piaga degli infortuni sul lavoro nei cantieri), è stato rimosso il noto “editto bulgaro” che colpì Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi (estromessi dalla tv pubblica dopo che il Presidente del consiglio Silvio Berlusconi, durante una visita di Stato a Sofia nel 2002, invitò la nuova dirigenza a prendere provvedimenti verso i tre personaggi che, a suo dire, facevano della tv un “uso criminoso”).