Prato, da terra del tessile a feudo della Triade cinese

Prato, da terra del tessile a feudo della Triade cinese

A circa trenta chilometri a nord di Firenze, nel cuore della Toscana, si trova Prato, una città in cui il lavoro rappresenta da sempre la principale cartina di tornasole. Conosciuta ai più come la città natale di Roberto Benigni, oltre ai tipici cantucci del biscottificio Mattei da inzuppare nel vin santo al termine di un luculliano pasto, la cittadina è il nucleo del settore tessile in Italia e in Europa e, negli ultimi decenni, anche della mafia cinese. La tradizione della lavorazione di tessuti è fortemente radicata nel territorio, e, quasi tutta la produzione delle aziende pratesi, ruota attorno all’industria dell’abbigliamento. Dopo gli albori risalenti al Medioevo, il distretto ha conosciuto un travolgente sviluppo tra l’Ottocento e il Novecento, con l’industrializzazione degli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, anche se la massima espansione è stata raggiunta a partire dalla metà degli anni ’60. Un’epoca fulgente in cui Prato raffigurava un’isola felice per il mondo dell’imprenditoria e quella dell’imprenditore veniva considerata come una figura di spicco. 

Il mutamento di Prato e la migrazione cinese

A oltre cinquant’anni di distanza, la città ha totalmente cambiato pelle. Merito di una costante immigrazione, iniziata nel 1990 e proseguita fino ad oggi, di migliaia di persone cinesi, provenienti la maggior parte da Wenzhou, un distretto della regione, molto povera e arretrata, di Zheijang, nel sud-est della Cina. Arrivati in Italia, fruendo della tradizione locale a livello lavorativo, inizialmente gli emigranti si limitarono a lavorare (principalmente) nelle aziende del Macrolotto Zero nel ruolo di dipendenti, talvolta anche essendo soggetti a “sfruttamento”. Con il trascorrere del tempo, la situazione è mutata ed è iniziata l’ascesa delle ditte a conduzione cinese. A raccontarlo anche lo scrittore Antonio Selvatici: “In venti anni i cinesi di Prato sono passati dalla guida di una scassata Ape Piaggio a quella di una lussuosa Mercedes”, scrive nel saggio “Il Sistema Prato”. Qual è, però, la motivazione che ha permesso un’espansione così vertiginosa delle aziende asiatiche? “Sfruttando la crisi economica dovuta all’allargamento del Wto (Organizzazione Mondiale del Commercio) – si legge in un report pubblicato dalle forze dell’ordine della città toscana – i cinesi hanno occupato poco alla volta la quasi totalità delle zone artigianali e industriali, rendendole centro delle loro attività economiche”. Oggi, nel territorio pratese, secondo uno studio condotto da Irpet (l’Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana), ci sono oltre cinquemila ditte a conduzione cinese, che producono annualmente il 10% dei capi di abbigliamento europeo per un giro d’affari di oltre due miliardi di euro. 

Il modus operandi della “Grande Muraglia”

Tuttavia, come spesso accade, non è tutto oro quel che luccica e nel dietro le quinte del successo dei pronto moda pratesi si celano alcuni aspetti, che denotano un modus operandi basato sull’inosservanza della legge. Nel corso degli anni sono molte le operazioni portate a dama dagli inquirenti che, tra i vari reati, hanno scoperto false fatturazioni, pagamenti in nero ed evasione delle tasse, oltre a rapine, contraffazione e vari trasferimenti di denaro attraverso servizi di money transfer. Celebre l’operazione “Grande Muraglia”, un’indagine della guardia di finanza in cui il 94% delle attività cinesi sono risultate irregolari. Colpa, soprattutto, delle condizioni di lavoro – estremamente precarie – dei cittadini cinesi impiegati nelle manifatture gestite dai connazionali, dove in un’azienda vengono ricavati in loculi e spazi angusti anche cucine e dormitori. Di conseguenza, i laboratori vengono sequestrati e la ditta è costretta a chiudere i battenti, ma non in modo definitivo. Il quadro, infatti, della ripartenza è chiaro: una volta restituito l’immobile al proprietario o al titolare ufficiale, segue l’apertura di una nuova attività a nome di un altro imprenditore cinese. La criminalità a Prato, dunque, è presente ed è un problema sempre di grande attualità. L’elenco delle inadempienze, tuttavia, è ancora lungo: tra i reati quello di prostituzione e di riciclaggio di denaro, che avviene soprattutto con l’apertura di negozi di facciata, sale slot e centri massaggi che, a Prato, sono un po’ ovunque, dal centro fino alla periferia.  

La svolta: la criminalità cinese a Prato è mafia 

Un vero e proprio sistema mafioso, certificato però per la prima volta solo nel 2021, quando il gup (giudice dell’udienza preliminare) di Firenze ha rinviato a giudizio trentotto cinesi per 416 bis, l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Nell’ambito della maxi operazione alla mafia cinese di Prato, iniziata nel 2011 dopo un duplice omicidio, tra gli imputati appare anche Zhang Naizhong, considerato dall’accusa il “boss dei boss” della criminalità cinese. A distanza di oltre sei anni dalla chiusura delle indagini, il processo, battezzato “China Truck”, però, fatica a decollare. Inizialmente in programma nel febbraio 2022, la prima udienza, al pari di quelle successive, è stata rinviata a causa di alcuni “cavilli burocratici”, quali difetti di notifiche agli imputati e l’accoglimento di istanze di legittimo impedimento presentate da vari avvocati difensori. A svelare le difficoltà per il prosieguo dello storico processo è Notizie di Prato: dopo il caso dei faldoni scomparsi, “è sparito anche – scrive il sito d’informazione pratese, dopo l’udienza rinviata del luglio 2023 – l’elenco delle telefonate da trascrivere, andato perso nel tragitto virtuale tra la procura distrettuale antimafia di Firenze e il tribunale di Prato”. Ad oggi, nonostante siano trascorsi più di due anni, tutto ancora tace. 

 “Le aziende cinesi non sono una risorsa”

“Il distretto industriale dei cinesi a Prato si basa sull’illegalità e la criminalità”, scrive ancora Selvatici, mentre è emblematica un’affermazione, datata 2017, di Confartigianato: “Le aziende cinesi non possono essere considerate una risorsa né un’opportunità, fino a quando non agiranno nella completa legalità”. “Ricevono più di quanto lasciano nel territorio”, aggiunge l’associazione di categoria che rappresenta i titolari delle imprese artigiane e delle piccole imprese. Un manifesto nitido dell’occupazione della “Piovra Gialla” a Prato.