Manicomi criminali e lucide follie: quel sottile confine tra cura e impunità 
Prision Cells at Old Idaho Penitentiary in Boise, Idaho

Manicomi criminali e lucide follie: quel sottile confine tra cura e impunità 

C’è un filo sottile che separa la cura dalla detenzione, la tutela dei diritti dalla loro manipolazione, la giustizia dall’impunità. Un filo che per decenni ha attraversato i corridoi degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), strutture nate per accogliere i criminali con disturbi psichiatrici e spesso finite per diventare, crocevia di potere e strategia per la criminalità organizzata. Poi, nel 2014, la svolta: gli Opg vengono chiusi e sostituiti dai Rems, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, concepite per garantire cure umane e dignitose ai malati psichiatrici autori di reato. 

Opg: storia di una follia istituzionalizzata 

La storia degli Opg affonda le radici nel 1876, quando fu inaugurata la “Sezione per maniaci” presso la Casa penale per invalidi di Aversa, il primo nucleo di questi istituti destinati ai “delinquenti folli”. Nati con l’intento di custodire e curare, sono diventati nel tempo luoghi di reclusione spesso caratterizzati da condizioni disumane, come denunciato dall’inchiesta della Commissione parlamentare sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale nel 2011. L’indagine rivelò situazioni di degrado estremo, con internati privi di cure adeguate e sottoposti a trattamenti inumani, evidenziando il fallimento del sistema.  

L’incubatrice della mafia 

A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, gli Opg hanno rappresentato un’incubatrice per le mafie. Tra le loro mura, boss di diverse organizzazioni criminali si sono incontrati e hanno stretto alleanze. Nicolino Selis, della Banda della Magliana, incontrò Raffaele Cutolo, leader della nuova camorra organizzata, proprio negli Opg campani. Fu proprio quest’ultimo ad evadere dall’Opg di Aversa con un piano orchestrato dall’interno, facendo esplodere il muro di cinta. A Reggio Emilia, Pino Marchese, futuro autista di Totò Riina, entrò in contatto con Marcello Colafigli. A Barcellona Pozzo di Gotto transitarono nomi storici di cosa nostra: Leonardo Vitale, Tommaso Buscetta, i Greco, i Bontate e molti altri. Le perizie psichiatriche divennero un lasciapassare per evitare il carcere, con boss che riuscivano a ottenere la permanenza negli Opg grazie a diagnosi di comodo. 

La legge 81/2014 e le Rems 

La chiusura definitiva degli Opg è stata sancita dalla legge 81/2014, che ha introdotto le Rems, strutture gestite dal sistema sanitario con misure di sicurezza limitate nel tempo per evitare detenzioni a tempo indeterminato. Ma oggi le Rems sono sotto pressione: pochi posti disponibili, lunghe liste d’attesa e sentenze difficili da eseguire. Il rischio è che queste strutture diventino una versione moderna degli Opg, un limbo in cui la salute mentale può diventare una maschera per evitare il carcere. 

La non imputabilità del folle 

Fabrizio Starace, psichiatra e direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche dell’Azienda Usl di Modena, ha evidenziato una delle contraddizioni ancora irrisolte: il principio di non imputabilità del folle reo socialmente pericoloso. Questo principio, sebbene garantisca una tutela ai malati psichiatrici veri, è stato spesso strumentalizzato da criminali senza disturbi mentali reali. Starace, che ha affrontato il tema in un’intervista rilasciata a “L’Espresso”, ha sottolineato come i clan mafiosi abbiano sfruttato diagnosi psichiatriche per ottenere proscioglimenti, sospensioni di processo e scarcerazioni, con affidi a centri di salute mentale o ricoveri in cliniche convenzionate, dove continuavano a gestire i loro affari indisturbati. Oggi i boss hanno affinato le strategie. Non ci sono più sceneggiate con finti deliri o simulazioni grossolane. Ora la partita si gioca sul concetto di incompatibilità con il regime carcerario. Il carcere, innegabilmente, genera sofferenza psichica e veri e propri disturbi. Su questo terreno i boss costruiscono una narrazione patologica credibile per ottenere trattamenti di favore. 

Insegnare negli Opg 

Maurizio Camellini, docente di letteratura e storia in carcere e nell’Opg La Pulce di Reggio Emilia, racconta in un’intervista a #Noi Antimafia la sua esperienza diretta, evidenziando la complessità del sistema degli Opg, le differenze rispetto alle istituzioni carcerarie e il modo in cui la manipolazione delle diagnosi psichiatriche e l’uso distorto dell’istruzione possano diventare strumenti della criminalità organizzata.  ”La differenza tra il carcere e l’Opg è nel grado di dolore. La difficoltà più grande è stata gestire il coinvolgimento emotivo, cercare di non essere travolto dal senso di umanità sofferente che si respirava dalla narrazione dei detenuti. Nel carcere i detenuti attuano strategie, mentre nell’Opg la sofferenza è senza maschere. Ricordo un cortile colmo di boccette di Valium: sbarre chimiche più forti del ferro”. 

Il macellaio della mafia 

La presenza della criminalità organizzata si manifesta in modo diverso nel carcere e negli Opg: “In un carcere come quello di Reggio Emilia non vi erano capi mafia, ma era ben presente la manovalanza: un nostro detenuto diceva di essere il macellaio della mafia. Entrato in confidenza con lui, mi raccontò che per conto di un’organizzazione mafiosa gestiva un traffico illecito di bufale morte che venivano poi certificate come regolarmente macellate per ottenere gli indennizzi della Comunità Europea. La carne infine veniva rivenduta e mandata in Etiopia per aiuti internazionali. I detenuti affiliati alla criminalità organizzata si rispettano tra loro e non chiedono nulla: sanno che il sistema li proteggerà dentro e fuori. All’Opg questa logica non si applica”. 

Strategie di alto livello 

Camellini osserva che, sebbene le diagnosi psichiatriche siano spesso percepite come una scorciatoia per evitare il carcere, la realtà degli Opg e delle Rems è ben diversa. La maggior parte degli internati sono persone con disturbi reali e profonde sofferenze. Tuttavia, racconta di un episodio in cui notò tre uomini, fisicamente curati, con una forte muscolatura e capelli cortissimi, in un cortile separato dell’Opg. Apparivano diversi dagli altri internati, vicini tra loro e isolati dagli altri. “Fu l’unica volta in cui pensai che l’Opg potesse essere usato come strategia alternativa al carcere. Ma si trattava di un’eccezione, una strategia di alto livello, non certo accessibile alla manovalanza della mafia”. 

Le affiliazioni durante la detenzione 

Riguardo l’istruzione come mezzo efficace per sottrarre i detenuti mafiosi alla logica del clan, Camellini sottolinea che la formazione deve arrivare prima della detenzione per poter essere realmente efficace. “Un detenuto una volta mi disse: ‘Professò, ma se eravamo bravi eravamo qua?’. Una frase che fa riflettere su quanto il destino criminale sia spesso già ben scritto prima dell’entrata in carcere. Le mafie non hanno alcun interesse a modificare il proprio status quo attraverso l’istruzione”.  Nonostante questo, Camellini riconosce che esiste una “zona grigia” di giovani detenuti, in particolare stranieri, che non entrano nelle carceri come affiliati ma rischiano di essere reclutati durante la detenzione. Per loro, lo studio della lingua o il conseguimento di qualifiche scolastiche può rappresentare una vera occasione di riscatto. Tuttavia, i mafiosi più strutturati partecipano ai corsi solo per ottenere benefici di buona condotta, senza un reale interesse formativo. “Non credo che la mafia investa sull’istruzione carceraria. In tanti anni di insegnamento, né io né i miei colleghi abbiamo mai subito pressioni o richieste di favori. L’interesse dei detenuti mafiosi si concentra maggiormente sull’educazione dei loro figli, ma non è chiaro se per riscatto o per garantire una futura posizione nelle organizzazioni>. 

Leggere l’amore assoluto di Montale 

“Io alle detenute leggevo il Montale di ‘Ho sceso dandoti il braccio’, l’amore assoluto. Che senso poteva avere per donne tossicodipendenti, prostitute, truffatrici, a volte persino detenute per reati di mafia? A nulla forse, ma sono le stesse donne che ho visto commuoversi o ridere per una poesia”. Secondo Camellini, l’unico antidoto alla manipolazione culturale da parte delle mafie è opporre loro tutta l’umanità che la cultura può offrire. “La cultura del profondo come antidoto alla superficialità, all’indifferenza, alle subculture della ricchezza e dell’apparire”. Critica, inoltre, il modello attuale che vede l’istruzione carceraria come un meccanismo burocratico, con diplomi e certificati che non incidono realmente sulla vita dei detenuti. “Il carcere, l’Opg o persino le nuove Rems restano istituzioni totali in cui l’individuo viene assorbito da regole e procedure che ne definiscono i contorni, i tempi e gli spazi. E tolgono identità. A questo non ci si sottrae con un corso di contabilità aziendale, ma qualche speranza può venire da nuove consapevolezze, nuovi sguardi; Uno sguardo dalla fogna può essere una visione del mondo – scriveva la poetessa argentina Alejandra Pizarnik – La ribellione sta nel guardare una rosa finché gli occhi non siano consumati“.