Le ombre della malavita in Toscana

Le ombre della malavita in Toscana

In Toscana è scattata da qualche tempo l’allarme criminalità organizzata. Da Firenze a Livorno, da Massa Carrara a Grosseto, fino ad arrivare a Prato, una città che nel corso degli ultimi decenni ha cambiato pelle, diventando il feudo della mafia cinese.

In ogni provincia della regione tirrenica, conosciuta per la magnificenza culturale fiorentina oltre che per le iconiche colline del Chianti, si fanno largo le mani lunghe della criminalità organizzata, che, stando alla relazione della Dia (Direzione distrettuale antimafia) risalente all’aprile 2024, colpisce quasi tutti i settori produttivi.  A raccontare l’espansione delle attività malavitose è il rapporto “Illegalità e criminalità organizzata nell’economia toscana” pubblicato da Irpet (Istituto Regionale Programmazione Economica della Toscana, ndr) dal quale emerge che: “Il giro economico stimato di illegalità e mafie in Toscana – si legge – ammonta a undici miliardi e trecento milioni di euro”, un dato, questo, che raffigura all’incirca l’11,7% dell’economia toscana. Una cifra abnorme il cui computo ha due distinte provenienze: “le attività illegali, ossia l’insieme di beni e servizi la cui distribuzione e produzione è vietata dalla legge – afferma Nicola Sciclone, direttore di Irpet, nel report- ammonta a 1,2 miliardi di euro. E – prosegue – l’economia sommersa che rappresenta invece circa 10,1 miliardi”.

 La variante Toscana

Nel territorio toscano, rispetto a quanto accade a livello nazionale, le organizzazioni criminali operano con strategie diverse da quelle tradizionalmente usate dalle mafie. Il merito è di un dissimile modus operandi, sviluppato contestualmente negli anni, che ricalca quello dell’imprenditoria. A fare il punto della situazione è un rapporto del 2020, sviluppato dalla Scuola Normale di Pisa: “In Toscana queste organizzazioni mostrano una forte vocazione imprenditoriale – si legge nel report -, che trova realizzazione nel tessuto economico locale attraverso investimenti di capitali illeciti sia per fini di mero riciclaggio, sia con l’obiettivo di fare impresa”. Un sistema che, nella relazione, viene definito come “variante toscana”.

C’è da chiedersi, però, perché le cosche mafiose si sono espanse così rapidamente? Stando a quanto emerge dalla relazione della Direzione investigativa antimafia la Toscana è “un territorio particolarmente appetibile per la criminalità organizzata”. Per Alessandro Nencini, presidente della Corte di Appello di Firenze, che ha parlato riguardo alla relazione nell’aprile 2024 a FirenzeToday, invece, la questione è diversa: “Se in alcune regioni le mafie controllano il territorio, ciò non avviene in Toscana dove invece si reinvestono i capitali. Questo è motivo di grande preoccupazione – continua – poiché l’inserimento di capitali è quanto di peggio possa esserci”. In raffronto a quanto accaduto in passato, oggi sarebbe tuttavia mutata la direzione delle attività illecite del crimine organizzato. “Le cosche si specializzano in alcuni specifici settori della filiera”, afferma Filippo Spiezia, procuratore della Repubblica di Firenze, che porta nell’aprile 2024, ancora a FirenzeToday, l’esempio del traffico di stupefacenti: “C’è chi si occupa dell’acquisizione, chi della macro o micro distribuzione, chi nel riciclaggio e chi nella corruzione”. Il quadro, nascosto nel dietro le quinte della malavita, è quindi chiaro: ogni attore coinvolto nella vicenda ha dunque un ruolo specifico nel sistema della mafia toscana.

 Prato e Pistoia città del malaffare

Non solo mafie italiane: la Toscana è nota anche per la presenza di quelle straniere e si trova posizionata al sedicesimo posto nella graduatoria nazionale per presenza oggettiva, una classifica che comprende i vari reati di stampo mafioso, tra i quali spiccano l’associazione di tipo mafioso, a delinquere e le interdittive antimafia. Risaltano, tuttavia, in negativo, i valori delle province di Prato e Pistoia: entrambe le città si contrassegnano, infatti, per associazione a delinquere.

I tentacoli di camorra, ‘ndrangheta e cosa nostra

Le cosche più attive, stando a quanto emerso dal rapporto semestrale della Dia (Direzione investigativa antimafia) divulgato nel giugno 2024, appartengono a camorra e ‘ndrangheta, invece cosa nostra sembra meno radicata. Negli ultimi tempi, si legge ancora nella relazione, “le attività illecite del clan campano si concentrano nei settori delle estorsioni commesse nei confronti di soggetti originari della Campania e della Toscana”, ma anche “nella gestione del traffico e smaltimento illecito di rifiuti”, oltre che “nel giro di stupefacenti fino al riciclaggio di denaro e al reimpiego in attività immobiliari  con particolare riferimento al settore turistico-alberghiero”.  Per quanto riguarda l’operatività della camorra sul territorio toscano è paradigmatica l’esplosione, risalente alla notte del 23 febbraio 2021, di una bomba carta vicino al ristorante “Pizza Cozze e Babà”, a Firenze. 

Dalle successive indagini è emerso che l’episodio si inseriva nel quadro di una faida tra due clan camorristici rivali: il gruppo Cuomo, il cui boss Michele, dopo la sentenza del luglio 2023, è stato condannato lo scorso settembre a sette anni di reclusione (otto in primo grado), e quello dei Piedimonte.  Molto attiva, inoltre, anche la cosca della ‘ndrangheta, produttiva nello specifico nei settori delle estorsioni, traffico di droga e smaltimento illecito di rifiuti. Un castello di malaffare smascherato da varie attività investigative delle forze dell’ordine e, soprattutto, dall’operazione “Kirmata”, portata a dama il 19 gennaio 2023 dai carabinieri di Firenze, che ha permesso di arrestare sei persone con l’accusa di frodi fiscali mediante società attive nell’edilizia.

 La “Piovra Gialla” nel tessile

A Prato, una città in cui il settore tessile rappresenta la pietra miliare della produzione lavorativa, hanno trovato spazio anche le cosche extracomunitarie. Nella fattispecie, servendosi della tradizione imprenditoriale locale, la mafia cinese negli ultimi decenni è riuscita, in modo progressivo, a crescere, trasformandosi nel fondamento dell’attività della cosiddetta “Piovra Gialla” in Toscana.  Oggi, nel territorio laniero operano oltre cinquemila aziende gestite da imprenditori cinesi, che generano annualmente circa il 10% dei capi d’abbigliamento europei.

Nel backstage del boom economico delle ditte a conduzione asiatica, si nascondono tuttavia elementi che manifestano una metodologia aziendale poco conforme alle leggi italiane. False fatturazioni, evasione delle tasse, rapine, pagamenti in nero, contraffazione e riciclaggio di denaro, sono solamente alcuni reati scoperti recentemente dalle forze dell’ordine. A scoperchiare il vaso di Pandora relativo alla proliferazione della “Triade cinese” a Prato, una maxi operazione, iniziata nel 2011, che ha portato in manette trentotto cittadini cinesi, ai quali il gip (giudice per le indagini preliminari) di Firenze, Alessandro Moneti, ha riconosciuto anche il 416 bis, l’associazione a delinquere di stampo mafioso.

Il porto di Livorno, snodo del traffico di droga

Le organizzazioni criminali, in Toscana, vantano un preciso canale d’accesso: il porto di Livorno.  Lo scalo labronico, ossia il terzo più controllato a livello nazionale, si distingue, tra i vari reati, soprattutto per traffico di droga, traffico di rifiuti e contrabbando. Si tratta, quindi, di un importante centro per la produttività delle mafie che operano nella regione tirrenica, specialmente per la ‘ndrangheta.  “Il porto di Livorno – riporta la Dia in una relazione del 2020 – oggi svolge un ruolo non meno importante dello scalo di Gioia Tauro e di quelli liguri, come luogo di arrivo in Europa e comunque in Italia, degli stupefacenti che giungono, soprattutto dal sud America, o direttamente o dopo il primo approdo europeo in altri porti”. Un vero e proprio sistema mafioso, quindi, capace di mettere in luce “l’operatività della ‘ndrangheta in rapporti con gruppi criminali locali d’appoggio”. Quattro anni fa, nel 2020,  nel porto livornese è stato registrato il secondo dato più elevato in termini di sequestri di cocaina (3.370 kg) in Italia, dietro solamente all’area portuale di Gioia Tauro, in Calabria.