La separazione delle carriere: una riforma per controllare o rendere indipendente la magistratura? 
Romualdo Truncè, presidente della Camera penale di Crotone

La separazione delle carriere: una riforma per controllare o rendere indipendente la magistratura? 

Favorevoli e contrari. Toghe in piazza a manifestare e politici che cantano vittoria e si dicono soddisfatti. Il dibattito sulla riforma della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri arrivata in Parlamento è incendiario. Da una parte c’è chi la esalta come una svolta fondamentale per garantire l’indipendenza della giustizia, dall’altra c’è chi la considera una vera e propria minaccia per l’autonomia della magistratura. La Camera dei Deputati ha dato il primo via libera al disegno di legge il 16 gennaio 2025, ma le polemiche sono esplose con una violenza esplosiva. Capiamo meglio. 

I pro e le proteste 

Da un lato, i partiti di maggioranza, Azione e +Europa gridano vittoria, convinti che la separazione tra i percorsi professionali di giudici e pubblici ministeri sia il passo necessario per evitare conflitti di interesse. Italia Viva, con una mossa a  sorpresa, si è astenuta, mettendo in evidenza le sue riserve sul sistema di sorteggio dei  membri dei Consigli Superiori della Magistratura. Ma la vera battaglia si gioca su un altro fronte: quello dei magistrati. Per sensibilizzare l’opinione pubblica, l’Anm (Associazione nazionale magistrati) ha diffuso un video dal taglio pop per spiegare le ragioni della protesta, sottolineando il rischio di un indebolimento dell’indipendenza della magistratura e l’aumento della possibilità di ingerenze politiche sulle procure. Il 27 febbraio 2025, migliaia di magistrati hanno aderito allo sciopero indetto dall’Anm per contestare la riforma, paralizzando di fatto l’attività giudiziaria per un giorno. Secondo l’Anm, questa riforma non solo comprometterebbe l’indipendenza dei magistrati, ma metterebbe anche a rischio l’efficacia dell’azione penale.  

Ognuno al suo posto 

Il dibattito sulla riforma non coinvolge solo magistrati e politici, ma anche giornalisti e opinionisti. Tra le voci più critiche nei confronti dell’opposizione dei magistrati alla riforma c’è Daniele Capezzone, ex parlamentare e oggi giornalista e saggista. Capezzone, noto per le sue posizioni liberali e garantiste, ha espresso il suo punto di vista tramite un video  su YouTube, in cui ha dichiarato: «Fermi tutti, i magistrati sono contrari alla separazione  delle carriere. E quindi? Per quale problema l’opposizione dell’Anm alla riforma del governo dovrebbe rappresentare un problema? Non tocca ai magistrati scrivere le leggi: esiste una cosa che abbiamo studiato a scuola: la separazione dei poteri. Le leggi le scrive il Parlamento e non il sindacato delle toghe».  

A rischio l’indipendenza 

Di parere opposto è Mariarosaria Guglielmi, segretaria generale di Magistratura Democratica, secondo cui la riforma è in contrasto con i principi europei che incoraggiano l’autonomia del pubblico ministero come presupposto dell’indipendenza dell’intero potere giudiziario. Guglielmi ha dichiarato, sul sito della magistratura democratica, che: «Un corpo separato di pubblici ministeri, svincolato dalla giurisdizione e non soggetto ad alcun controllo, rischia di perdere indipendenza rispetto al potere esecutivo. Inoltre, la proposta incide sull’obbligatorietà dell’azione penale, subordinando l’intervento del pubblico ministero alle decisioni delle maggioranze parlamentari. La riforma – aggiunge - riduce le competenze del Csm e la presenza dei magistrati nei due organi separati, compromettendo ulteriormente l’indipendenza della magistratura » conclude Gugliemi.   

Cosa cambierà? 

Ma cosa cambia? Quali sono le modifiche che verranno fatte? Ad oggi pubblico ministero e giudice condividono lo stesso percorso e possono decidere di passare da una funzione all’altra nel corso della loro carriera. Per cui – secondo i firmatari della riforma – il rischio sarebbe il seguente: chi da pm ha intrapreso indagini contro un cittadino, passando a giudice potrebbe rivalersi laddove da pm non abbia trovato accolta la sua pubblica accusa con lo stesso cittadino processato una seconda volta. L’avvocato Romualdo Truncè, presidente della Camera penale di Crotone, spiega: «Uno degli scopi della riforma è garantire l’indipendenza del giudice rispetto al pubblico ministero. Separare nettamente le funzioni di indagine da quelle di giudizio riduce il rischio di contaminazione reciproca. Attualmente, magistrati inquirenti e giudicanti condividono esperienze e, talvolta, amicizie che possono incidere sulla percezione di imparzialità del sistema giudiziario», sottolinea Truncè. 

Possibili commistioni nei giudizi 

Secondo i sostenitori della riforma, l’attuale sistema, in cui pubblico ministero e giudice hanno lo stesso background, potrebbe influire sulle decisioni giudiziarie. Ancora Truncè: «Se pubblico ministero e giudice seguono lo stesso percorso di formazione e lavorano a stretto contatto, si possono creare legami che rendono difficile mantenere una distanza critica nei processi. Questo è particolarmente evidente nei piccoli tribunali, dove i rapporti personali possono avere un peso maggiore».  

L’articolo 104 

La riforma prevede anche modifiche alla Costituzione, in particolare dell’articolo 104, per sancire la separazione tra magistratura giudicante e requirente. Truncè ne è convinto: «Non si tratta di intaccare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, ma di strutturarla in modo più efficace. Con la creazione di due organi di autogoverno distinti, si rafforza la tutela dei rispettivi ruoli e si evitano interferenze tra le due funzioni». Uno dei timori sollevati dalle voci contrarie alla riforma è il rischio che i pubblici ministeri  possano diventare più vulnerabili alle pressioni politiche. «Il pericolo esiste, ma può essere mitigato introducendo garanzie adeguate. Serve un sistema che impedisca pressioni politiche sui pubblici ministeri, garantendo loro stabilità di carriera e protezione da eventuali ritorsioni», replica Truncè. 

In altri paesi 

Il penalista aggiunge: «Molti paesi hanno già adottato sistemi con carriere separate per magistrati giudicanti e inquirenti. In Inghilterra, i pubblici ministeri dipendono dal Crown Prosecution Service, un’agenzia indipendente. In Francia, il Consiglio Superiore della Magistratura è diviso in due sezioni separate. Anche in Germania i pubblici ministeri hanno un’organizzazione autonoma», illustra Truncè. Infine, un tema cruciale è l’impatto della riforma sulla percezione della giustizia da parte dei cittadini. «Separare le carriere aiuterà a garantire processi più equi. Nei nostri tribunali, la vicinanza tra giudici e pubblici ministeri può dare l’impressione che le due figure siano troppo legate. Con questa riforma, invece, si rafforzerà la percezione di imparzialità, aumentando la fiducia nel sistema», conclude Truncè.  

L’iter legis 

Ora la riforma dovrà affrontare il vaglio del Senato, dove essendo una modifica costituzionale, dovrà essere approvata in quattro letture da entrambe le Camere del Parlamento. Se nelle ultime due letture non si raggiungerà una maggioranza di due terzi, sarà necessario un referendum confermativo per la sua definitiva approvazione. Nel frattempo, il dibattito tra magistrati, politici e avvocati prosegue, mentre i cittadini osservano con attenzione l’iter di un cambiamento che potrebbe ridisegnare profondamente il sistema giudiziario italiano. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ex magistrato e procuratore aggiunto, ha dichiarato l’intenzione di completare la riforma entro l’estate, sottolineando l’importanza di mantenere l’impegno preso con gli elettori.