La legge bavaglio mai approvata che spaventa i governi

La legge bavaglio mai approvata che spaventa i governi

Da anni lo spettro di disegni di legge che arginino il problema delle querele bavaglio contro la stampa si aggirano come fantasmi tra Camera e Senato. Sono quelli che hanno tentato di depenalizzare il reato di diffamazione a mezzo stampa in Italia, o almeno questo era l’obiettivo. Eppure nessuna forza politica è stata in grado di approvare una legge per salvaguardare la libertà di stampa e la sicurezza dei giornalisti.

Il primo tentativo: il ddl Costa

È dal 2012 che la politica italiana tenta di modificare la legge numero 47 dell’8 febbraio 1948 che all’articolo 13 prevede il carcere per i giornalisti. Una legge datata e pensata in un’epoca che oggi cozza col periodo in cui i paesi democratici vanno verso la depenalizzazione del reato di diffamazione. Così, nel 2012 si è fatto un primo timido tentativo presentando un ddl con l’obiettivo di modificare gli articoli 594 e 595 del codice penale, che riguardano rispettivamente il reato di ingiuria (abrogato poi con il decreto legislativo 7 del 15 gennaio 2016) e di diffamazione. Presentata da Enrico Costa, allora deputato del Popolo della Libertà, oggi Forza Italia, la legge non è mai stata approvata. Tra i vari emendamenti presentati fece scalpore quello di Giacomo Caliendo, senatore del Popolo della Libertà che proponeva di sollevare gli editori dagli oneri economici a seguito di cause per diffamazione, lasciando i giornalisti soli ad affrontare i processi e le querele bavaglio. L’emendamento, che divenne noto come “anti-Gabanelli”, dal nome dell’ex conduttrice del programma Rai Report, fu ritirato dopo pochi giorni a seguito di un coro di proteste del mondo dell’informazione. 

Legge Balboni: il lupo travestito da agnello

Un impulso ad intervenire in una materia così delicata non è venuto solo dalle prescrizioni della Corte europea di Strasburgo, ma anche dalla Corte costituzionale, che con una sentenza del 21 luglio 2021 ha stabilito la non obbligatorietà per il carcere per i giornalisti. Nel 2022 è stato quindi presentato il disegno di legge Balboni, che prende il nome dal deputato di Fratelli d’Italia che lo ha proposto. Il contenuto però ricalca un precedente disegno di legge presentato sempre da Caliendo nel 2018. Accanto alla cancellazione dell’obbligatorietà del carcere per i giornalisti, il provvedimento ha un lato oscuro: non si intende affatto depenalizzare il reato di diffamazione a mezzo stampa. Al contrario si vogliono aumentare le pene, infatti con una condanna per diffamazione si potrebbe arrivare a pagare una multa fino a 50.000 euro nei casi più gravi e con il rischio di sospensione dall’esercizio della professione da uno a sei mesi. Una misura questa che rappresenta un pericolo per la libertà e il pensiero critico del giornalista.

Il modello inglese

Mentre in Italia la classe politica discute ancora di leggi bavaglio, nel Regno Unito è in vigore una legislazione avanzata che coniuga libertà di espressione e rispetto della reputazione. Con il Defamation Act, approvato dal Parlamento britannico nel 2013 ed entrato in vigore nel gennaio 2014, si può essere accusati di diffamazione solo se una dichiarazione ha arrecato un danno grave. Per quanto riguarda il processo, che si svolge in sede civile dopo che nel 2009 è stato abolito il reato di diffamazione (tranne che in Scozia), il giornalista può difendersi non solo rivendicando il fatto di aver detto o scritto la verità, ma anche affermando che la sua è un’opinione di pubblica utilità. “Nel Regno Unito hanno affrontato e risolto il problema con molta semplicità – ha dichiarato a #Noi Antimafia Federica Angeli, giornalista di Repubblica – quando qualcuno chiede un risarcimento milionario a un giornalista per un articolo, accetta di versare al cronista la metà di quanto chiede nel caso in cui dovesse perdere. Questo ha portato a un calo vertiginoso delle querele cosiddette bavaglio”. 

Federica Angeli

“Anche da noi dovrebbe essere così – ha concluso Angeli – e da anni la Fnsi, il nostro sindacato, si è battuto per trovare sponde nella politica affinché si creassero degli argini all’impennata di maxirisarcimenti per articoli che penalizzano sicuramente i piccoli editori e la libertà di giornalisti spesso precari che non hanno una testata solida alle spalle”.

Le preoccupazioni dell’Unione Europea

L’iter legislativo del disegno di legge Balboni è ad oggi fermo e l’Italia continua a non avere un sistema legislativo che possa tutelare i giornalisti, sempre più in pericolo nell’esercizio della loro professione. Anche la Commissione europea sta tenendo sott’occhio la drammatica situazione italiana. Nel Rule of law report 2024, il rapporto sullo stato di diritto che viene prodotto ogni anno dalla Commissione, numerose sono le preoccupazioni che le istituzioni europee hanno sull’Italia. L’attenzione è stata posta sui rischi individuali dei giornalisti, sulle querele bavaglio e le violenze fisiche sempre più frequenti. Secondo il rapporto, il governo non sta facendo nulla dal punto di vista legislativo per difendere i giornalisti e le loro fonti, rimanendo quindi distante dagli standard europei.