“Iddu”, il film immaginifico sulla latitanza di Matteo Messina Denaro

“Iddu”, il film immaginifico sulla latitanza di Matteo Messina Denaro

“Il mistero tragico e farsesco di una lunga latitanza”: è questo il cardine intorno a cui ruota Iddu, il nuovo film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, che dal concorso all’81esimo Festival del Cinema di Venezia esce con i Premi intitolati a Francesco Pasinetti e Carlo Lizzani per il miglior film italiano proposto al Lido.
e nelle sale di tutta Italia a partire dal 10 ottobre. I due registi siciliani tornano a rileggere in chiave filmica il rapporto tra la mafia e il contesto, umano e sociale, in cui si radica, come avevano già fatto con Sicilian Ghost Story, che nel 2018 era valso loro un David di Donatello alla miglior sceneggiatura e due Nastri d’Argento (tra cui quello al fotografo Bigazzi, che torna anche in questo nuovo lavoro). Se però, nel lungometraggio che sette anni fa aveva aperto la Settimana della critica del Festival di Cannes, i registi avevano voluto rileggere, filtrandola di immaginazione e della lieve tenerezza di un amore bambino, i tragici mesi della prigionia di Giuseppe di Matteo, in Iddu le atmosfere sono più cupe e, al contempo, virate al grottesco, come può diventare il rapporto tra un ex politico fallito e il suo “figlioccio”, che è stato l’uomo più potente della mafia siciliana. Iddu, infatti, non è altri che Matteo Messina Denaro, i cui trent’anni di latitanza – dall’estate 1993 al 13 gennaio 2023 – sono stati, dichiarano i registi, “un unicum che ci ha offerto la possibilità di scavare nella sua enigmatica personalità e fare luce sul variegato sistema di relazioni che la sua invisibile presenza ha nutrito”. Attingendo dai materiali forniti dalle indagini e dalle cronache, Piazza e Grassadonia illuminano il circo di connivenze, timori e sudditanze che proteggono il più noto dei latitanti di mafia, offrendo – senza didascalismi – una chiave per leggere i motivi e i modi attraverso cui le presenze per negazione dei latitanti plasmano i territori da cui sono, a loro volta, condizionati.

Ancora una volta, il lavoro dei due registi consente di indagare la realtà dal punto di vista di una figura altra, un prodotto della fantasia che si fa chiave per decodificare la realtà a cui alla cronaca mancano le parole per descriversi. Se nel secondo lungometraggio della coppia incontratasi tra i banchi della scuola Holden di Torino, gli occhi attraverso cui lo spettatore entrava nella storia erano quelli di Luna, la compagna di scuola innamorata del giovane Di Matteo, in Iddu la vicenda ruota attorno a Catello, ex politico già condannato per associazione mafiosa, a cui i Servizi Segreti offrono la possibilità per incastrare il suo figlioccio, Matteo Messina Denaro. Catello è un uomo rimasto senza nulla, tranne la propria abilità nel doppio gioco e la convinzione di poter manipolare il latitante dei latitanti. Inizia dunque con lui uno scambio epistolare, nella speranza che un incauto pizzino lo spinga a rivelarsi. Iddu si fa carico di provare a tratteggiare ritratti di esseri umani, crudeli e meschini, stanchi di fuggire e pieni di sfumature. Il racconto si tiene lontano, infatti, da ogni romanticizzazione del male o semplificazione, svelando le connessioni anche metaforicamente familistiche che finiscono con l’intrecciare le mafie e società. Lo fanno scegliendo invece una chiave di genere che – ancora una volta – segue la traccia di quanto già fatto con il lungometraggio precedente.

Laddove in Sicilian Ghost story, prendendo le mosse dalla raccolta di racconti Non saremo confusi per sempre di Matteo Mancassola, si voleva programmaticamente descrivere come una storia di fantasmi, onirica e calata in un immaginario vivido, per Iddu il codice scelto è quello della farsa. I rapporti tra i personaggi sono grotteschi e talora surreali, come lo scambio tra i due. Ma è forse proprio attraverso il riso più amaro e smaccato che si riesce, spesso, a dar forma a tragiche verità. Iddu è un lavoro che promette molto, tanto sul piano narrativo quanto su quello artistico. Sul set, concluso nell’estate del 2023, si sono infatti ritrovati per la prima volta insieme due nomi di primo piano del cinema nostrano: Toni Servillo è Catello, mentre a vestire i panni di Matteo Messina Denaro c’è Elio Germano. Arricchiscono il notevole cast alcuni dei più talentuosi protagonisti del panorama soprattutto teatrale, come Fausto Russo Alesi e Tommaso Ragno, mentre le figure femminili prendono vita attraverso un ventaglio variegato di sensibilità artistiche, da Antonia Truppo, attrice molto amata da cineasti più vicini a progetti d’autore, a Barbara Bobulova. Tra le inquadrature, fanno capolino anche interpreti a sorpresa: nei panni di una guardia carceraria di Cuneo, ad esempio, al debutto come attore, c’è Dario Voltolini, secondo al Premio Strega del luglio scorso con il romanzo Invernale, edito da La nave di Teseo.

Iddu prosegue in coerenza con il percorso già tracciato da Grassadonia e Piazza, a cominciare dal debutto Salvo, film in cui, nel 2013, davano vita al killer mafioso Salvo Mancuso (Saleh Bakri), chiamato a uccidere Rita, sorella del mandante di un agguato rivale (una giovanissima Sara Serraiocco), cieca dalla nascita, di cui invece si innamora e a cui restituisce la vista, anche in questo caso tramite l’intervento di una componente antirealistica ed evocativamente simbolica. Le intenzioni di carattere sociale dei due registi si leggono però anche attraverso le loro scelte artistiche. Le musiche di Iddu, che da Venezia portano a casa un Soundtrack Star Award 2024 infatti, sono affidate al cantautore catanese Colapesce, al secolo Lorenzo Urciullo, che dichiara di essersi ispirato a maestri del cinema d’intervento degli anni Sessanta e Settanta, come Pietro Germi ed Elio Petri, che hanno raccontato la realtà operaia e civile in mutamento attraverso figure comuni, come l’operaio Lulu Massa di Gian Maria Volontè e la parrucchiera Lidia interpretata da Mariangela Melato in La classe operaia va in paradiso. Tipi umani in grado di sfarinare il confine con il simbolo per offrire uno specchio a una società, a cui non può bastare la sconfitta di un individuo – come nel caso di Matteo Messina Denaro – per assolversi dalle responsabilità collettive che i rapporti coi mafiosi svelano.