Ecomafie: il crimine silenzioso che inquina la giustizia ambientale

Ecomafie: il crimine silenzioso che inquina la giustizia ambientale

Le ecomafie sono il cancro invisibile che divora il territorio e l’ambiente, sotto gli occhi di tutti e nella totale impunità. Non si tratta solo di traffici illeciti o abusi edilizi: è un attacco sistematico al territorio, alla natura e al nostro stesso futuro. Molte città italiane vivono sotto l’ombra di un crimine che non si vede ma si sente: nell’aria che respiriamo, nei terreni avvelenati, nei fiumi contaminati. Sono in media 30mila l’anno gli ecoreati in Italia e gli esempi di scarso virtuosismo come, a detta di Zero Waste Italy, l’inceneritore di Roma.  Accendiamo i riflettori su una delle piaghe più distruttive e sottovalutate del nostro tempo, partendo dai dati del rapporto annuale 2024 di Legambiente sulle ecomafie

Cosa sono le ecomafie?

Le ecomafie- termine introdotto negli anni ’90 da Legambiente – sono attività illegali condotte da organizzazioni criminali, tra cui il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti, la costruzione abusiva su terreni protetti, gli incendi dolosi e le irregolarità nella filiera agroalimentare. Queste pratiche criminali non solo arricchiscono i clan con profitti milionari, ma pesano gravemente sull’economia nazionale, compromettendo anche la qualità della vita delle persone.

I numeri secondo Legambiente

Dal 1997, Legambiente pubblica ogni anno un rapporto dedicato all’ecomafia, un documento che analizza il problema e fornisce un quadro aggiornato sulla diffusione di questi crimini, sottolineando l’urgenza di intervenire. 

Come evidenziato nel grafico sull’andamento temporale, dai dati forniti dai rapporti di Legambiente, dal 1992 al 2023 sono stati registrati circa 902.356 reati ambientali, con una media di oltre 30.000 all’anno. Questo significa che, ogni giorno, avvengono circa 80 illeciti, pari a uno ogni 18 minuti. Osservando la distribuzione dei reati nelle diverse regioni italiane, emerge chiaramente come la Campania sia l’epicentro di questo fenomeno, con oltre 117.000 illeciti segnalati. Seguono Calabria, Sicilia e Puglia, che insieme contribuiscono in modo significativo al totale nazionale. Anche il Lazio figura tra le regioni più colpite, mentre al nord la Lombardia si distingue con il maggior numero di reati, pur registrando numeri inferiori rispetto al sud.

Questa attività criminale si concentra soprattutto su due filoni: il ciclo illegale del cemento e quello dei rifiuti. I dati regionali, come mostrato nel secondo grafico, evidenziano che, ancora una volta, la Campania detiene il primato con il maggior numero di reati in entrambi i settori. Questi numeri riflettono l’azione costante e capillare delle organizzazioni criminali, che sfruttano ogni opportunità per trarre profitto a scapito dell’ambiente. Nonostante i dati siano scoraggianti, non sono mancate le risposte. Le forze dell’ordine hanno svolto un lavoro importante, con oltre 600 inchieste condotte dal 2002 a oggi, che hanno portato a migliaia di arresti e alla confisca di oltre 60 milioni di tonnellate di rifiuti. Questo dato ci permette di immaginare un impatto visibile anche nei nostri grafici, dove si nota l’effetto delle misure messe in atto per arginare il fenomeno.

Uno sguardo sul Lazio: il problema dei rifiuti tra traffici illeciti e incendi dolosi

Il Lazio in questo contesto si posiziona al quinto posto su scala nazionale e prima regione del centro Italia con 66.650 reati ambientali nell’arco di tempo che va dal 1992 al 2023. Tuttavia, rispetto alla media annuale del Rapporto 2023 di Legambiente, la regione sale di un posto registrando un numero superiore di abusi edilizi e illeciti sui rifiuti. Non sono infatti una novità i numeri registrati per quanto riguarda il ciclo illegale del cemento e il traffico dei rifiuti, rispettivamente con 18.115 illeciti il primo e 9.989 episodi documentati per ciò che concerne la criticità dei rifiuti. 

Roma, come capitale e città metropolitana, rappresenta un nodo centrale nella complessa rete del traffico di rifiuti in Italia. La pubblicazione del dossier, nel dicembre 2024, della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite legate al ciclo dei rifiuti offre una fotografia dettagliata della situazione critica della Capitale, con un focus particolare su Malagrotta, un sito emblematico delle difficoltà nella gestione ambientale. Come spiegato nel corso delle audizioni della Commissione di inchiesta dal presidente della plenaria Jacopo Morrone, il rapporto, frutto di mesi di indagini e sopralluoghi, evidenzia una “super-emergenza” che rischia di aggravarsi in vista del Giubileo del 2025.

La fragilità del sistema AMA e il ricorso all’estero

L’inchiesta ha messo in luce le pesanti carenze di Ama, la municipalizzata che gestisce i rifiuti della capitale. Gli impianti esistenti sono vecchi, insufficienti e spesso fuori uso. La mancanza di investimenti e una gestione frammentata hanno costretto Roma a spedire i propri rifiuti fuori regione e addirittura all’estero. Ogni settimana due treni lasciano Civitavecchia per raggiungere un termovalorizzatore nei Paesi Bassi, dove 900 tonnellate di rifiuti per viaggio vengono trasformate in energia. Un’operazione costosa, che pesa sulle casse pubbliche per circa 180.000 euro a settimana, ma che rischia di raddoppiare nel 2025, in coincidenza con il Giubileo. A fronte di questi costi crescenti, i cittadini pagano il prezzo più alto: un servizio inefficiente e un degrado urbano sempre più evidente.

Malagrotta: una ferita che non si rimargina 

Chiusa da oltre dieci anni, la discarica di Malagrotta continua a rappresentare una minaccia ambientale e sanitaria per i residenti delle zone vicine. Gli studi epidemiologici hanno evidenziato un’incidenza anomala di malattie respiratorie e tumori tra le persone esposte agli inquinanti rilasciati dalla discarica negli anni passati. Le sentenze di condanna per la gestione del sito sono arrivate, ma i danni ambientali restano e la bonifica dell’area si preannuncia lunga e costosa. I primi interventi, stanziati per oltre 190 milioni di euro, hanno preso il via nel 2018, ma si tratta solo di un passo iniziale verso un recupero che potrebbe richiedere anni.

L’inceneritore del Giubileo

Tra le risposte più controverse alla crisi dei rifiuti del Lazio figura il progetto dell’“inceneritore del Giubileo”, promosso dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Previsto per il 2028, l’impianto dovrebbe gestire 600.000 tonnellate di rifiuti all’anno. Tuttavia, secondo gli esperti, produrrebbe 400.000 tonnellate di CO2 annuali, oltre a polveri sottili, diossine e metalli pesanti, aggravando i rischi ambientali e sanitari per una popolazione già colpita. La scelta del sito a Santa Palomba, nel IX Municipio di Roma – vicino a terreni già contaminati – ha sollevato dubbi sulla trasparenza dell’operazione, con un’indagine in corso sul sovrapprezzo pagato per l’acquisto del terreno. Nel frattempo, le comunità locali denunciano il progetto ad associazioni no-profit come Zero Waste Italy come una “scusa” per bypassare le normali procedure amministrative e spingere una soluzione emergenziale, a scapito della salute e della sicurezza dei cittadini.

Controversie sulla scelta dell’area e la compravendita del terreno

Nel giugno 2021, Ama ha avviato un’indagine di mercato per acquistare un’area destinata a un nuovo impianto. È stato scelto su un terreno di dieci ettari a Santa Palomba, acquistato poi nel novembre 2022 a 75 euro al metro quadrato, significativamente superiore alla stima di mercato di 40-45 euro. La transazione, che ha fruttato oltre 7 milioni di euro all’Immobiliare Palmiero (proprietaria del terreno dal 2002), è oggetto di un’inchiesta della procura, della Corte dei conti e della Commissione parlamentare ecomafie. Secondo i requisiti stabiliti da Ama in un’indagine di mercato del 2021, il terreno presenta diverse criticità: si trova all’interno di un’area di tutela integrale, a meno di 500 metri da abitazioni, e include il Fosso della Cancelliera, un corso d’acqua che richiederebbe interventi di interramento o deviazione, con potenziali rischi idraulici.

Impatti ambientali e sanitari

Il sito scelto si trova a 800 metri dalla discarica di Roncigliano ad Albano Laziale, chiusa da tempo ma tristemente nota per l’inquinamento delle falde acquifere circostanti, con livelli elevati di metalli pesanti e idrocarburi rilevati nei pozzi dalla Arpa Lazio. Lo studio “Epidemiologia rifiuti ambiente salute nel Lazio” del 2023 ha evidenziato un’incidenza superiore alla media di malattie respiratorie, tumori della pleura e della vescica, e mieloma multiplo nell’area. Nonostante ciò, la richiesta del comune di Albano per classificare l’area come “a elevato rischio di crisi ambientale” e avviare la bonifica è rimasta senza risposta dalla Regione Lazio. L’inceneritore, una volta operativo, potrebbe aggravare la situazione. Si stima che l’impianto emetterà 400.000 tonnellate di CO2 all’anno, oltre a ceneri pesanti e leggere, polveri sottili e ultrasottili, metalli e diossine. Secondo Francesca Mazzoli, pediatra e membro dell’Associazione Medici per l’Ambiente (Isde), tali sostanze rappresentano un grave rischio per la salute, soprattutto per bambini, donne in gravidanza e anziani.

Questioni economiche e logistiche

Il progetto, dal valore stimato di 7,5 miliardi di euro, è stato assegnato tramite un bando di gara ad Acea, in partnership con altre aziende, tra cui Vianini Lavori e Suez. La concessione prevede una durata ultratrentennale e un sistema di finanziamento pubblico per un impianto sperimentale di cattura della CO2, che secondo i critici catturerebbe solo lo 0,1% delle emissioni totali. Anche la logistica solleva preoccupazioni: si prevede un aumento di 300 camion al giorno sulle strade circostanti, già congestionate, e un consumo d’acqua stimato in 240.000 litri al giorno, con potenziali effetti negativi sulla falda acquifera locale e sui laghi di Albano e Nemi.

Mobilitazione e opposizione

Zero Waste Italy ha lanciato un appello mondiale contro l’inceneritore, presentato il 18 dicembre 2024 all’Hotel Nazionale di piazza Montecitorio. Una lettera aperta, firmata da oltre 100 esperti e attivisti di 52 Paesi, mette in guardia dai gravi rischi economici e ambientali legati al progetto.  Tra i punti critici sollevati ci sono: i costi insostenibili per i cittadini, il contratto prevede che per 33 anni i romani debbano pagare oltre 200 euro per ogni tonnellata di rifiuti, indipendentemente dalla quantità effettivamente bruciata; l’impatto ambientale e sanitario, l’inceneritore produrrebbe diossine, nanoparticelle e metalli pesanti, rappresentando una minaccia per la salute pubblica e per finire, il contrasto con l’economia circolare. Roma, invece di seguire l’esempio virtuoso di città come Milano, rischia di perpetuare un modello di gestione lineare, lontano dalle migliori pratiche di riciclo e riduzione dei rifiuti. Inoltre, la localizzazione prevista a 20km dalla capitale, vicino ad Albano Laziale, ha scatenato l’opposizione delle comunità locali, che si sentono considerate “sacrificabili” per un progetto ritenuto giusto e insostenibile.

Foto da: Zero Waste Italy

Come ha dichiarato il presidente di Zero Waste Italy Rossano Ercolini, nell’evento-appello del 18 dicembre 2024 dove si sono riunite forze politiche opposte, il progetto controverso dell’inceneritore è stato proposto come una soluzione ad un problema collettivo, senza però tener conto effettivamente della collettività. A tal proposito, al termine dell’appello, Ercolini ha dichiarato: “Si è assistito a una preoccupante liquidazione della democrazia istituzionale e partecipativa, con decisioni imposte senza il necessario coinvolgimento della cittadinanza”. Come ha sottolineato il presidente dell’associazione durante la presentazione dell’appello: “La battaglia contro l’inceneritore non riguarda solo un impianto, ma un’intera visione del futuro basata sulla riduzione dei rifiuti, sul riciclo e sul coinvolgimento delle comunità locali”. Per il Lazio la sfida è chiara: come sottolineato dalla Commissione, occorre superare le logiche emergenziali e adottare politiche lungimiranti per la riduzione, il riciclo e il recupero dei rifiuti. Solo così sarà possibile contrastare le ecomafie, proteggere l’ambiente e garantire un futuro più sostenibile per le nuove generazioni.

Ecoreati in Italia: le leggi che difendono l’ambiente e le sfide ancora aperte

Tra le misure messe in atto per arginare il fenomeno delle ecomafie, oltre l’impegno delle associazioni pubbliche, c’è sicuramente la lotta per la garanzia dei diritti ambientali. Negli ultimi decenni, la tutela dell’ambiente in Italia ha compiuto importanti passi avanti, culminati nel 2015 con l’introduzione della legge n. 68. Questa normativa ha segnato una svolta storica, inserendo nel codice penale nuove categorie di reati ambientali e riconoscendo l’urgenza di proteggere ecosistemi, biodiversità e salute pubblica.

I crimini ambientali diventano reati penali

Prima della legge 68/2015, il codice penale puniva i crimini ambientali in modo limitato, utilizzando norme generiche come quelle sul “disastro innominato”. Un esempio emblematico fu il caso Eternit iniziato nel 2009, che vide il magnate svizzero Stephan Schmidheiny a processo per migliaia di morti legate all’esposizione all’amianto. La nuova normativa ha invece introdotto specifici reati ambientali, come l’ inquinamento ambientale, punito con pene fino a sei anni per danni significativi e misurabili a suolo, acqua o aria; disastro ambientale, con pene fino a quindici anni per danni irreversibili o particolarmente gravi agli ecosistemi; il traffico di materiali radioattivi, per contrastare attività estremamente pericolose per la salute pubblica e anche l’omessa bonifica e impedimento del controllo, per responsabilizzare chi inquina e chi ostacola la prevenzione

La strada verso questa svolta è stata lunga e faticosa. Già negli anni ’80, con il dpr 915/82 (decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n.915), l’Italia iniziò a regolamentare i rifiuti tossici. Nel 1995, dopo il lavoro svolto dall’associazione Legambiente, venne istituita la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, che contribuì a far luce sul legame tra criminalità organizzata e danni ambientali. Da allora, rapporti annuali e denunce pubbliche hanno alimentato la pressione per un quadro normativo più forte.

Le sfide di oggi

Il contrasto agli ecoreati rimane una sfida complessa. Le ecomafie, con attività come il traffico di rifiuti pericolosi, l’abusivismo edilizio e gli incendi dolosi, continuano a generare profitti illeciti milionari. Tuttavia, non mancano esempi virtuosi. In Italia, oltre 2’000 comuni hanno ridotto l’indifferenziato dell’80%, dimostrando che alternative sostenibili esistono. Associazioni pubbliche, come Legambiente, insieme a molte realtà locali, promuovono iniziative e progetti educativi per sensibilizzare le comunità e contrastare le organizzazioni criminali.