Una strada, un simbolo, una vittoria. Nel cuore della Romanina, là dove un tempo il clan dei Casamonica dettava legge con violenza e paura, oggi risplendono il coraggio e la rinascita: un centro per persone con autismo e un Parco della legalità. È la prova che lo Stato, spesso lento e silente, sa vincere e quando decide di farlo, strappa alla mafia i suoi feudi trasformandoli in luoghi di speranza.
La nascita dell’impero Casamonica
Le origini del clan Casamonica risalgono agli anni Settanta quando famiglie di etnia Sinti, provenienti da Abruzzo e Molise, si stabilirono nei quartieri periferici di Roma, tra cui la Romanina e Morena. Inizialmente dediti al commercio di cavalli, i Casamonica diversificarono presto le loro attività entrando nella criminalità organizzata. Seguendo il modello della Banda della Magliana, si strutturarono in nuclei familiari autonomi guidati da capi. Ancora oggi, le donne del clan garantiscono la coesione interna, mentre gli uomini si occupano delle attività esterne come lo spaccio, usura ed estorsioni.
La costruzione sociale del potere mafioso
Il clan consolidò la propria immagine attraverso intimidazioni, lusso ostentato e un’apparente impunità. Le ville sontuose, decorate con stucchi dorati, mosaici e statue equestri, sono diventate il simbolo visibile del loro dominio. Un elemento centrale del loro successo è stata la capacità di creare una narrazione che li presentasse come “protettori” della comunità, guadagnandosi il consenso di alcune fasce della popolazione. Questo doppio binario di violenza e consenso li ha resi una delle organizzazioni più radicate e temute nella capitale.
Le attività criminali dei clan e l’opposizione delle istituzioni
Con tassi di interesse proibitivi, i Casamonica hanno portato piccoli imprenditori e famiglie a dipendere da loro, utilizzando le attività rilevate per il riciclaggio di denaro. La violenza e le minacce garantivano l’obbedienza delle vittime, mentre il traffico di droga, gestito con una rete internazionale, costituiva una delle principali fonti di guadagno.
Tuttavia, l’ascesa criminale del clan non è stata senza opposizioni. A partire dal 2018, lo Stato ha iniziato a rispondere con una serie di operazioni mirate a smantellare il dominio mafioso, colpendo il cuore del loro potere: i beni confiscati, simbolo tangibile del loro controllo, sono stati trasformati in luoghi di legalità e rinascita sociale. Tra questi spicca il caso della villa di via Roccabernarda 16, nel quartiere della Romanina, affidata all’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori persone con Autismo) Lazio, che segna un punto di svolta nella lotta alla mafia e nell’impegno per la comunità.
Il caso Angsa Lazio: esempio di una forma di rinascita per i quartieri periferici romani
La villa situata in via Roccabernarda 16, nel quartiere della Romanina, un tempo simbolo dell’arroganza e del potere ostentato dai Casamonica, nel 2018 è stata confiscata e successivamente affidata all’Angsa Lazio. Questo bene, un tempo dominato dall’illegalità, è stato trasformato in un simbolo di giustizia sociale, grazie al coraggio e alla determinazione di una rete di associazioni e istituzioni locali.
Nel 2019, sotto la guida della presidente Stefania Stellino e del vicepresidente Danilo Catania, Angsa Lazio ha avviato un progetto ambizioso per trasformare la villa confiscata in un centro diurno dedicato alle persone con disturbi dello spettro autistico. Durante un evento di festa e formazione organizzato il 15 giugno 2019 dal settore giovani dell’Azione Cattolica di Roma, in collaborazione con Libera di Don Luigi Ciotti, Stellino ha dichiarato: «Non vogliamo creare un ghetto, ma uno spazio che appartenga a tutta la comunità. Solo se stanno bene tutti, possono stare bene anche i nostri figli». Nella stessa occasione, intitolata “La città grida giustizia”, Catania ha descritto il progetto come un modo per “ascoltare e rigenerare ciò che ci circonda, dando un nuovo significato ai luoghi abbandonati”.
Marco Genovese, referente provinciale di Libera, ha dichiarato durante l’evento: «Per anni si è voluto far credere che la mafia a Roma non esistesse. Questo ha permesso ai gruppi criminali di agire indisturbati. Essere qui oggi significa dimostrare che è possibile cambiare le cose, partendo proprio dai luoghi simbolo della lotta alla mafia». La giornata ha visto anche interventi di altri protagonisti, tra cui Rosa Calabria, presidente diocesana dell’Azione Cattolica, che aveva invitato i giovani a «prendersi cura del proprio territorio, portando speranza e bellezza laddove domina il degrado». Un messaggio simile era stato lanciato da Luciano Iannuso, vicepresidente per il settore giovani, che aveva sottolineato il ruolo dei cristiani nel rigenerare le comunità locali.
L’intera trasformazione di via Roccabernarda
Camminando per via Roccabernarda nel 2019, la differenza era evidente. Accanto alle ville ancora abitate da esponenti del clan, si trovano il Parco della Legalità, inaugurato nel 2019, e il centro diurno gestito da Angsa Lazio. Carlo Feliciani, presidente del Comitato di quartiere Campo Romano Casalotto, ha descritto il parco come <<un gioiello in questa zona, un luogo dove i ragazzi possono incontrarsi senza paura>>. Il parco è stato realizzato demolendo una villa abusiva di 1.000 metri quadrati, un atto simbolico di riconquista del territorio da parte dei cittadini. Ad oggi questo spazio verde costituisce un punto d’incontro per bambini e adolescenti, ospitando attività sportive, laboratori e momenti di riflessione sulla legalità.
Le strategie per contrastare il clan
Negli ultimi anni, la lotta contro il clan Casamonica ha subito una significativa accelerazione, segnando un netto cambio di passo rispetto ai decenni precedenti, caratterizzati da una certa tolleranza e sottovalutazione del fenomeno. Il 2018 è considerato un anno simbolico, in cui istituzioni e società civile hanno iniziato a intervenire con azioni mirate per scardinare la presenza del clan nei quartieri storicamente sotto il suo controllo, come Romanina e Campo Romano. Le iniziative di contrasto si sono articolate su tre livelli principali: istituzionale, con il coinvolgimento della Regione Lazio, del Comune di Roma e del VII Municipio, culturale, attraverso l’educazione alla legalità e il coinvolgimento dei giovani, simbolico, con la demolizione delle ville Casamonica e la restituzione dei beni confiscati alla comunità.
Gli strumenti istituzionali per il contrasto
A partire dal 2015, la regione Lazio ha giocato un ruolo cruciale nel contrasto alla criminalità, pubblicando il report annuale “Mafie nel Lazio”, che ha messo in evidenza il radicamento dei Casamonica nella capitale. La Regione è così riuscita ad ottenere nel 2017 altre due ville in via Roccabernarda, una è diventata una casa-famiglia gestita dall’Ipab (Istituto pubblico di assistenza e beneficenza) Asilo Savoia, e la terza, già menzionata precedentemente, è stata demolita per fare spazio al Parco della Legalità.
Anche il VII Municipio e il comune di Roma hanno adottato un approccio deciso, concentrandosi sulla demolizione di strutture abusive legate al clan. Nel 2018, otto ville nel quadrante di Porta Furba- Quadraro furono sgomberate e abbattute, gesto che è costato all’allora sindaca Virginia Raggi minacce e da quel momento una vita sotto scorta, mentre nel 2020 altre sei abitazioni abusive a Morena e Anagnina furono demolite. Questi interventi hanno rappresentato un messaggio forte: lo Stato non avrebbe più tollerato l’impunità del clan. Tuttavia, le resistenze non mancarono.
Il caso del Roxy bar: un’altra svolta nel quartiere Romanina
Uno degli episodi più emblematici nella lotta contro il clan è stato il caso del Roxy Bar, un locale situato nel cuore di Romanina, diventato un simbolo di resistenza. Il 1° aprile 2018, Antonio Casamonica e Alfredo Di Silvio aggredirono brutalmente un dipendente e un cliente del bar, colpevoli di non aver servito velocemente le loro ordinazioni. L’episodio, ripreso dalle telecamere di sicurezza, mostrò un uso spudorato della violenza per affermare il loro dominio.
La reazione istituzionale è stata rapida. Nel 2019, la Corte d’Appello di Roma ha confermato le condanne a 6 anni e 4 mesi per i due responsabili, riconoscendo l’aggressione come un atto di matrice mafiosa. La sindaca Raggi, presente durante l’udienza, ha dichiarato: << Non dobbiamo abbassare la testa davanti alla mafia. Questa sentenza è un segnale di speranza per tutta Roma>>.
Nel 2020, ulteriori indagini portarono all’arresto di sei membri del clan, tra cui Silvio Casamonica, accusati di usura ed estorsione. Le forze dell’ordine, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia, dimostrarono che il clan continuava a operare, seppur indebolito.
Il sostegno della società civile
La società civile ha giocato un ruolo fondamentale. Il caso ha scosso profondamente la comunità, spingendola a reagire. Il movimento “Quelli del Roxy Bar” è nato come risposta collettiva, organizzando presidi, incontri pubblici e iniziative per sensibilizzare i cittadini sulla necessità di opporsi alla criminalità organizzata. Il bar Roxy è stato simbolicamente ribattezzato “Il caffè della legalità” ed è diventato il fulcro di eventi e dibattiti sulla lotta antimafia, tra i quali emerge il progetto E!state Liberi, promosso da Libera, che ha portato alla creazione di campi estivi e percorsi educativi nelle scuole.
https://www.angsalazio.org/assegnazione-immobile-ad-angsa-lazio-facciamo-chiarezza/ Il clan dei
casamonica – Nando della Chiesa (LA COSTRUZIONE DI UNO SPECIALE POTERE
CRIMINALE A ROMA SUD-EST)