Sono molte le prime pagine dei quotidiani che, negli ultimi anni, hanno dato il buongiorno all’Italia rivelando casi che rischiano di intorbidire il prezioso lavoro delle forze dell’ordine. Una lunga scia di depistaggi, fango e perfino casi che hanno visto coinvolti alcuni membri dei corpi armati dello Stato con l’accusa di “tradimento della divisa”. “Portare l’uniforme è un privilegio e chi la indossa sa di essere un riferimento”, spiegò nel 2022 in un’intervista a TV2000 il comandante generale dell’arma Teo Luzi, che nella sua carriera ha ricevuto decine di onorificenze grazie, tra le altre, alle numerose operazioni ad alto rischio che ha condotto contro la criminalità organizzata. C’è, però, anche il rovescio della medaglia e, purtroppo, alcune volte accade che il valore della divisa venga macchiato da comportamenti impropri. L’elenco delle inadempienze dei cosiddetti “Traditori della divisa” è lungo e, tra gli altri, la più celebre è senza alcun dubbio la profonda serie di depistaggi nel processo di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, i magistrati siciliani uccisi negli attentati organizzati da Cosa Nostra negli anni ’90 dopo il maxi-processo contro la mafia.
Chi sono i “traditori”?
Il punto di partenza, secondo Paolo Borrometi, giornalista e scrittore che nel maggio 2023 ha pubblicato il libro (edito Solferini) “Traditori. Come fango e depistaggio hanno segnato la storia italiana”, coincide con un data e un luogo ben precisi: 1 maggio 1947, Portella della Ginestra, Palermo. Lì quel giorno di settantotto anni fa, durante una festa di contadini organizzata per la Giornata del Lavoro ci fu una strage in cui vennero uccise undici persone. Ad organizzarla fu, secondo la sentenza del processo, terminato il 3 maggio del 1952, e in seguito alle indagini condotte dall’ispettorato generale di pubblica sicurezza, il clan di Salvatore Giuliano, capo di una banda armata che nella primavera del 1945 entrò a far parte del Movimento Indipendentista siciliano. Nonostante sia trascorso molto tempo il caso è ancora un mistero d’Italia. “Parlare dopo tanti anni di Portella della Ginestra ha ancora un senso. La nebulosa è stata creata a tavolino, quasi un caso di scuola per quello che verrà dopo nel nostro Paese”, spiega Borrometi al Quotidiano Nazionale, in un’intervista dell’agosto 2023. “La strage – prosegue il giornalista che dall’agosto 2014 vive sotto scorta – accadde nel momento in cui il nostro Paese era diventato baricentrico tra i due blocchi nel dopoguerra, in Sicilia il blocco delle sinistre vinse le elezioni. E si decise allora di provocare caos e paura”. Ancora nell’oscurità anche l’uccisione di Giuliano, il mandante dell’eccidio: “Per tanti anni -conclude il cronista – è stata propagandata come un successo delle forze dell’ordine, con un conflitto a fuoco con i carabinieri locali”. La realtà, però, è un’altra. Infatti il giornalista sottolinea: “Giuliano fu ucciso dal suo braccio destro Gaspare Pisciotta, cui poi fu garantito un salvacondotto”.
Il caso della caserma Levante
Negli ultimi anni, invece, il caso più evidente di “tradimento della divisa” è quello dei carabinieri della caserma Levante di Piacenza raccontato nell’ultimo libro della giornalista Federica Angeli (“Gli orrori della caserma Levante” edito da Baldini e Castaldi e finalista al premio Feltrinelli edizione 2024). Nel luglio del 2020 alcuni dei militari della caserma di via Caccialupo vennero arrestati per una sfilza di reati gravissimi al termine delle indagini coordinate dai magistrati Antonio Colonna e Matteo Centini. Secondo l’accusa, i
carabinieri infedeli della sezione piacentina, la seconda più importante della città, avevano organizzato un giro di spaccio, in cui grazie ai pusher impiegati come informatori, erano riusciti a edificare un preciso piano, dove l’arresto degli spacciatori di sostanze stupefacenti era all’ordine del giorno. Un programma chiaro che avrebbe avvantaggiato le loro carriere. La vicenda della caserma di Levante era fatta anche di pestaggi, sopraffazioni, sequestro di persona, soprusi, spaccio della droga che sequestravano ai pusher arrestati e torture. Un mondo che, secondo il gup (Giudice per le udienze preliminari), Fiammetta Modica, vedeva la stazione come “una zona franca dove erano ammesse prassi degenerate e dove i carabinieri condannati costituivano un gruppo coeso”, che si era reso protagonista di “pratiche illegali, celati dietro la divisa, e consumati con l’arroganza e la convinzione che le vittime non avrebbero avuto voce”. Venne poi disposto il sequestro della caserma, segnando così una storica prima volta in Italia, visto che fino a quel momento a nessuna caserma del Bel Paese sono mai stati messi i sigilli. Per lo scandalo, nel 2021 vennero condannati sei carabinieri in primo grado al tribunale di Piacenza, con le pene che vennero poi ridefinite in appello a Bologna. Giuseppe Montella l’appuntato considerato l’artefice e il capo fu condannato a dieci anni, l’appuntato Salvatore Cappellano a sei anni e quattro mesi, appuntato Daniele Spagnolo (un anno e due mesi) e l’appuntato Giacomo Falanga (cinque anni e tre mesi), mentre per il comandante della caserma Marco Orlando la pena fu di un anno, otto mesi e venti giorni. In primo grado, invece, Montella era stato condannato a dodici anni, Cappellano a otto, Spagnolo a tre anni a quattro mesi, Falanga a sei anni e Orlando a quattro anni.
Nell’ottobre 2023 si è espressa anche la Corte di Cassazione, che dopo dieci ore di camera di consiglio, ha cambiato le carte in tavola. Spagnolo fu, infatti, assolto da tre capi d’imputazione circa l’induzione allo spaccio di droga, Orlando invece da quelli di falso ideologico e spaccio. Anche a Cappellano e Falanga, la Corte di Cassazione ha annullato alcuni capi d’imputazione. Per Montella, cui erano arrivati vari annullamenti senza rinvio, la pena venne poi rideterminata, oltre a trentottomila euro di multa, a nove anni e otto mesi.
Il fango tra le forze dell’ordine
In Sicilia però, oltre al caso del fango del processo riguardante Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, si indaga da poco su un nuovo depistaggio, che vede coinvolti due ex generali dei carabinieri, che adesso sono in pensione. Il 20 novembre 2024, infatti, il gup (giudice per le udienze preliminari) di Caltanissetta Graziella Luparello ha rinviato a giudizio Angiolo Pellegrini, storico collaboratore di Giovanni Falcone, e Alberto Tersigni. Per entrambi l’accusa è di depistaggio. Pellegrini e Tersigni che, nel corso delle proprie carriere hanno lavorato anche nella Dia (Direzione Distrettuale Antimafia), secondo l’impianto accusatorio, avrebbero osteggiato le indagini condotte dalla procura sulle parole del pentito Pietro Riggio, ex agente della polizia penitenziaria che ora è in carcere per presunti legami con vari clan mafiosi. Nei primi anni 2000, i due generali gestivano il collaboratore di giustizia. Secondo i pm, però, questi non avrebbero dedicato a Riggio il corretto ascolto, che avrebbe potuto invece condurre gli inquirenti a catturare il latitante Bernardo Provenzano. Non è finita qui: per le forze dell’ordine, la negligenza dei carabinieri non ha potuto permettere di scoprire un piano per l’attentato nei confronti di Leonardo Guarnotta, un ex giudice che lavorava nel pool antimafia. È finito in manette anche Giovanni Peluso, ex poliziotto, che avrebbe agevolato cosa nostra propiziando la fuga del boss corleonese. L’uomo è imputato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
Benemerenze e tradimenti
I carabinieri, servitori dello Stato che hanno fatto il giuramento, lavorano alacremente ogni giorno per la sicurezza e la tutela dei cittadini. Il loro compito è difficile, encomiabile e meritevole di benemerenze. Spesso vivono a contatto con situazioni delicate e pericolose, che, giocoforza, potrebbero mettere a rischio anche la loro incolumità. Ci sono, però, talvolta delle vicende, che riecheggiano con impeto sui quotidiani nazionali, che macchiano la bonarietà del servizio delle forze dell’ordine. Casi di depistaggi, corruzione, concussione (tra gli ultimi episodi, in ordine cronologico, hanno visto coinvolto Sergio Turini, comandante della stazione di Prato), ma anche reati di abuso d’ufficio o, come ha svelato l’indagine sulla caserma Levante, soprusi e torture, oltre allo spaccio di droga.