“È tempo di dimenticare – se davvero ancora ce l’abbiamo – l’immagine del mafioso coppola e lupara, ignorante e isolato in un meccanismo perverso. Il mafioso, oggi, veste gli abiti eleganti dei broker finanziari, ha le competenze complesse di un hacker capace di muoversi negli spazi sempre più vasti e affascinanti (talvolta nella loro drammaticità) aperti dall’evoluzione dell’universo digitale. O – se non le ha – ha imparato ad acquisirle, attirando al suo interno o al suo fianco chi le possiede”. Partono da qui il magistrato Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, esperto di ndrangheta, per descrivere la mutazione, delle mafie, tra tutte della ‘ndrangheta, la più abile e rapida a prendere la forma del Grifone, l’animale mitologico, per sua natura ibrido, che dà titolo al saggio di Gratteri e Nicaso, edito da Mondadori strade blu e presentato, con Francesco Cancellato di Fanpage al Festival lodigiano “Il fiume dei libri”.
Non è più una novità che le famiglie calabresi abbiano soppiantato – nel volume e nella diffusione dei traffici illeciti, così come nell’affidabilità agli occhi dei partner criminali di mezzo mondo – mafie più legate all’immaginario popolare, né lo è, dopo inchieste come Aemilia, quanto l’azione delle ndrine si sia ormai stabilmente spostata e radicata nelle regioni del nord, nei palazzi della finanza milanesi. Lo è però forse ancora che, soprattutto all’indomani della pandemia, la misura in cui le mafie si siano spostate, e adattate, agli spazi impalpabili del web. Come e con quale pervasività, Gratteri e Nicaso lo raccontano con un saggio densissimo di appoggi documentali, riferimenti a procedimenti giudiziari e precisato dalle affermazioni degli esperti a sostegno di un ritratto ormai sempre più articolato. Per questo, il testo ha il merito di una assoluta trasversalità, che prova a spiegare fenomeni complessi e ancora in gran parte riservati agli addetti ai lavori del tech con una lingua che, senza rinunciare alla solidità argomentativa, si impegna a conservare chiarezza per tutti i lettori.
In una serie di capitoli che – puntualmente e con ordine – suddividono i nuovi ambiti economici e comunicativi del digitale, gli autori aiutano innanzitutto a destreggiarsi (partendo dalle definizioni) su nuove formule. Se infatti è noto a molti che utilizzino correntemente i computer cosa sia o come funzioni un malware, sempre più spesso utilizzato anche dalle mafie per infiltrarsi nei sistemi informatici di forze dell’ordine e amministrazioni, nota forse alla ristretta cerchia dei nerd è l’effettiva “forma” di un NFT, (Non-fungible token) riproduzione digitale unica di un oggetto del mondo reale di cui, anche le mafie – come, sempre più spesso, i mercati d’arte e del lusso – fanno uso, sovente, per ripulire denaro proveniente dalle attività illecite. Infatti, è facile intuire come, mentre il mondo della società civile prende sempre più la forma dei multiversi, anche le organizzazioni criminali ne scoprano le applicazioni a propria utilità.
Accade così, ad esempio, che gli incontri per definire obiettivi, o i passaggi stessi di merci illecite, possano oggi avvenire con sempre più facilità in un luogo immateriale abitato da avatar, senza che un criminale, magari sorvegliato dalle forze dell’ordine, sia costretta a lasciare le proprie abitazioni. Ad essere mutate, spiegano gli autori con dovizia di dati, sono però soprattutto le transazioni economiche. I pagamenti delle partite di stupefacenti, ma non solo, si svolgono in gran parte attraverso criptovalute e denaro digitale, quello comunemente noto come Bitcoin (si tratta in realtà di uno dei possibili sistemi di pagamento, ma ne esistono anche altri, come Monero). Queste forme di pagamento, di cui sono ormai provetti fruitori, oltre alle ndrine, i cartelli della droga messicani, consentono una movimentazione di grandi capitali sul piano sovranazionale e rendono ancora più difficile la loro tracciatura.
Il registro delle transazioni (in gergo blockchain), infatti, registra un passaggio di valuta tra un portafoglio digitale e un altro, ma questi ultimi fanno capo a persone identificate da pseudonimi che, anche una volta identificati, possono rendere quasi impossibile il loro collegamento con persone riconoscibili. Transazioni, queste, che avvengono nel già famigerato dark web, insieme di indirizzi web con estensione .onion all’interno del quale, fin dall’avvento di internet e con una sempre maggior complessità tecnica – non necessariamente più rapida a evolversi di quella messa in atto dalle forze dell’ordine per chiuderle via via che vengono scoperte – piattaforme create ad hoc commerciano ogni sorta di prodotti, soprattutto illeciti, dalle dosi di stupefacenti ai documenti falsi.
Il lavoro di Gratteri e Nicaso, vale la pena sottolinearlo, dà conto non soltanto di come le mafie si siano adattate (o meglio, abbiano adattato a se stesse, trattandosi di uno strumento) le nuove possibilità dell’universo digitale, ma anche di come le forze dell’ordine agiscano o debbano essere sempre più in grado di agire per praticare – ugualmente – anche l’antimafia digitale. Valga l’esempio del market digitali del dark web, attivi anche in Italia (uno, chiuso di recente, si chiamava, ironicamente, Berlusconi Market): delle centinaia di migliaia di siti su cui potrebbero appoggiarsi, soltanto meno di una decina di migliaia risultano effettivamente attivi (e non tutti, va da sé, sono utilizzati per lo smercio illecito).
La polizia postale Italiana, peraltro, è la prima ad avere attivato una collaborazione sistematica e stabile con le forze dell’ordine attive sul digitale negli Stati Uniti, indiscutibilmente le più avanzate, mentre anche l’organismo di polizia internazionale, l’Interpol, agisce anche negli spazi del multiverso, intendendo l’incorporeità dei luoghi digitali come sovranazionali, e quindi sottoposti alla loro giurisdizione. Pur se con qualche ingenuità caratteristica di persone non native digitali, per cui i funzionamenti e le possibilità del macrocosmo web sono ancora, è verosimile, portatori di problematiche di ordine morale che li spingono a qualche sprezzante giudizio di merito, Nicaso e Gratteri fanno un lavoro prezioso e puntuale per fotografare e prefigurare, con le parole di docenti universitari ed autorità del settore, la via su cui anche le mafie si stanno muovendo e – di conseguenza – a cui anche l’antimafia deve sempre più imparare ad adattarsi.
Accanto agli slittamenti concreti, infatti, sono sempre più visibili quelli di ordine culturale. L’immagine digitale – e i casi di cronaca di giovani e giovanissimi che si mostrano sulle reti sociali con armi in pugno stanno lì a dimostrarlo – ha ormai soppiantato in molti casi quella reale. Le reti sociali – ancora una volta, da interpretare come un mezzo – sono sempre più spesso un luogo efficace per raccontare le nuove mafie e diffondere nuovi linguaggi fatti di emoticon condivise, di messaggi pubblicati sulla piazza virtuale eppure comprensibili solo da chi deve cogliere la comunicazione. Allo stesso modo, lo sviluppo di reti sempre nuove offre ai mafiosi anche forme di comunicazione, via via sempre più attente alla privacy e alla segretezza dei loro utenti, che consentono quindi anche ai mafiosi di comunicare tra loro, spesso neppure senza bisogno di nascondere l’oggetto dei loro discorsi.
Un discorso a parte merita – e gli autori lo approfondiscono con puntualità – i mutamenti tecnologici che, fuori dal tech, stanno subendo anche gli strumenti attraverso cui le mafie fanno i soldi. Non solo, lo si è detto, ci sono forme di guadagno nuove, come le tecnologie e i prodotti digitali, che rendono sempre meno riconoscibili le mafie tramite azioni violente di di cui ormai non hanno bisogno se non in casi estremi. Ma sono cambiati, anche, i “prodotti” tradizionali dell’economia mafiosa. Le slot machine ad esempio si sono ormai trasformate tutte in casinò digitali con sede all’estero (soprattutto a Malta: su questo stava indagando la Giornalista Daphne Caruana Galizia, uccisa nel 2017) facendo anche delle mafie organismi imprenditoriali sempre più internazionali, con la complicità di professionisti e fiancheggiatori dal sudamerica all’est Europa, cui soprattutto la ndrangheta ormai appalta intere componenti del loro lavoro, allontanando geograficamente dall’Italia sia i suoi denari che i suoi dipendenti.
Soprattutto, poi, è cambiato il primo asset economico delle mafie: anche le droghe, ormai, stanno mutando forma per diventare – in massa – sintetiche, sostituendo le sostanze naturali con componenti venduti anche nelle farmacie, come gli analgesici. In America, ad esempio, il fentanyl ha ormai vistosamente sostituito l’eroina, e trasformando i corrieri della droga in eleganti signori cinesi che bussano alla porta di stanze d’albergo, quando non si servono dei droni o di chi consegna cibo d’asporto, sfruttando la geolocalizzazione cui ormai tutti facciamo ricorso. Anche la mafia si adatta ai tempi, e per combatterla occorre innanzitutto conoscerli, senza pregiudizi ma imparando la lingua del presente. Per questo, testi come questo sono essenziali, per gli esperti come per il primo approccio, purchè, come l’antimafia insegna, non si voglia – anche digitalmente – voltare la testa dall’altra parte.